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di Angelo Picariello

Avvenire, 1 marzo 2024

“Un nuovo patto tra Stato e detenuti”. Spiega così Andrea Ostellari la sua proposta di riforma del meccanismo degli sconti di pena, che - a differenza di altre - non punta sull'aumento dei giorni previsti, ma sulla facilitazione delle procedure di accesso, con risultati attesi sia in termini di sbrurocratizzazione, sia in termini di lotta al sovraffollamento carcerario. Che potrebbe avere un forte impulso, negli auspici del sottosegretario leghista, attraverso un ricorso più massiccio e strutturato alle comunità educanti, “in grado di far uscire 20mila detenuti”.

Spieghi bene questa sua proposta sugli sconti di pena…

I Tribunali di sorveglianza sono oberati da circa 300mila istanze l'anno, prodotte da detenuti che chiedono il riconoscimento dello sconto di pena di 45 giorni, ogni sei mesi, previsto per chi mantiene una buona condotta. Questo carico di richieste pesa sul sistema. La nostra proposta è di invertire il procedimento. I detenuti matureranno il beneficio previsto, senza dover produrre alcuna istanza, salvo che al magistrato non arrivi una segnalazione di condotta scorretta. Con ciò si alleggerisce il peso sui Tribunali, si assicura al detenuto il riconoscimento dei suoi diritti, stimolandolo ad assumere comportamenti conformi al trattamento, anche a tutela del personale.

Che impatto prevedete in termini di sfollamento?

L'obiettivo è garantire l'efficienza dell'esecuzione penale, senza premi, ma nel rispetto dei diritti del detenuto, del personale, facendo funzionare meglio il sistema. Comprendo ma non condivido la proposta di Giachetti di aumentare da 45 giorni a 60 lo sconto di pena previsto. Non si svuotano le carceri con un mese in più di sconto. Meglio migliorare le procedure, far uscire chi può uscire perché ne ha diritto e spronare i detenuti ad aderire al trattamento, magari inserendo già nell'ordine di esecuzione non solo la pena irrogata in sentenza, ma anche quella che diventerà effettiva, salvo il caso in cui si comporti male.

C'è un malessere che riguarda anche la polizia penitenziaria, addirittura con dei casi di suicidio, ma certo con uno stress diffuso…

Non ho delega diretta sulla Polizia Penitenziaria, ma ciò non mi impedisce di raccogliere segnalazioni e idee. È anche grazie al confronto con donne e uomini in divisa che sono nati due provvedimenti che stanno riducendo le aggressioni fra detenuti e ai danni del personale. Si tratta di una nuova circolare che ha scopo detenente e prevede il trasferimento anche fuori regione dei detenuti violenti e di un cambio dirotta sulla media sicurezza: i reclusi che non partecipano al trattamento non possono più ciondolare nelle sezioni, minacciando il personale e i detenuti più deboli. Segnalo inoltre che nella prima legge di bilancio utile il Governo ha previsto l'assunzione straordinaria di mille agenti, i primi 250 dei quali entreranno in servizio ad aprile. A questo si aggiungono 5.100 unità che saranno a disposizione entro l'anno e un ulteriore concorso per i circa 2.500 nel 2025. Inoltre stiamo potenziando il numero di educatori e personale sanitario, perché agli agenti non si può chiedere di fare anche gli psicologi o i dottori.

La finalità rieducativa della pena tira in ballo anche le Comunità educanti. Come pensate di coinvolgerle in modo più strutturato e diffuso?

La pena serve se rieduca. Però la rieducazione si fa in tre. Stato, Comunità e detenuto. Stato, mettendo a disposizione personale e strutture. Comunità, attraverso cooperative o imprese private che investono in carcere, assicurando opportunità di lavoro. Detenuto, che accoglie su di sé la responsabilità del suo errore e accetta il patto trattamentale. Per i condannati prossimi al fine pena, e sono quasi 20mila, pensiamo a una soluzione ancora più efficace. Il trasferimento in comunità educanti, sul modello della Giovanni XXIII, dove destinare chi ne ha i requisiti in regime di messa alla prova o detenzione domiciliare. Ciò avrà effetto diretto sul sovraffollamento e assicurerà una migliore rieducazione del ristretto, oltre che un risparmio per lo stato. In regime detentivo un recluso costa 150 euro al giorno, in comunità circa 30. Siamo al lavoro per istituire un albo delle Comunità e mettere in rete le esperienze migliori.

La tendenza a inasprire le pene, o a creare di continuo nuove ipotesi di reato, non aiuta però a decongestionare gli istituti...

Le nostre iniziative sulla sicurezza non sono solo repressive. Pensiamo al decreto Caivano: prevede misure richieste da molti magistrati ed educatori e, dall'ammonimento già per i dodicenni, alla messa alla prova anticipata, punta sulla prevenzione e sul recupero dei giovani.