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di Domenico Quirico

La Stampa, 8 giugno 2022

Molti Paesi africani e asiatici rischiano la rivoluzione per la mancanza di cibo: è l’altra faccia della globalizzazione, nascosta dal paravento della ricchezza per tutti.

Dannato Putin! In Occidente cercavamo di durare il più possibile, nel dolce tepore del benessere e della pace. Il convincimento era smottato nel profondo di noi stessi, che la globalizzazione non fosse un vantaggio solo per questa scaglia del pianeta ma stesse rendendo tutto il mondo più ricco, anche quello dei diseredati chiamati così a partecipare al grande banchetto dei consumi e delle occasioni universali. Era questo che ci ha tenuto al riparo perfino dagli scrupoli e dai rimorsi anche se si intravedevano pallori. Libero mercato e democrazia non viaggiavano forse a passo obbligatoriamente eguale? Per le autocrazie prima o poi sarebbe suonata la campana a morto. Non ci turbavamo più, facevamo allegramente gli illuministi.

Lui, l’autocrate, un mattino dichiara la guerra, distrugge, invade, separa, ci iberna in un nuovo pessimismo. E nella sua furia di scombinare il mondo che non gli aggrada interrompe subdolamente anche il commercio del grano. Così ci costringe a una inusuale ricognizione nel repertorio delle cose dimenticate, una presenza che pensavamo scomparsa: il povero di stampo biblico, l’affamato, chi muore di inedia, il pezzente assoluto. Ci costringe a riadottare l’angoscia per la povertà tangibile, biologica, psicologica e storica. La povertà si tocca. Con questi poveri non si può eccepire, storicizzare, girare intorno, ignorare e negligere. Sgomitolano subito le nostre proposizioni bizantine. I titoli recitano dando voce all’allarme dell’Onu: si rischia la più grande emergenza umanitaria della storia.

Intendiamoci: i poveri, i nostri poveri, li conosciamo bene, perché sono in mezzo a noi, inciampiamo nei loro giacigli anche nei luoghi più chic delle capitali d’Occidente. Ma sono quelli che pudicamente chiamiamo i poveri “nuovi”, come se l’esser specie finora sconosciuta giustificasse lo scandalo che esistano. Un problema di welfare zoppicante, di ristori e redditi minimi, di classi medie in crisi, il Covid lungo, per cui ci sono mille formule miracolose per dare assistenza e riportarli a medie numeriche accettabili. In fondo, ci si consola sociologicamente, ci saranno poveri finché ci saranno ricchi. Evitando di aggiungere il comma successivo, che nessuno dovrebbe avere il diritto di esser ricco fino a quando ci sarà un povero.

Ma con il raddoppio del prezzo del grano, le esportazioni ucraine bloccate nei porti, i noli marittimi che crescono per la guerra (il grano viaggia per mare come ai tempi di Cesare), parti intere del mondo ora rischiano di non poter sfamare la quota predominante dei propri cittadini, gli indigenti per cui il pane sotto innumerevoli forme e nomi costituisce (venduto a prezzo politico o donato) il fragile, quotidiano contatto con la possibilità di sopravvivere. Gli uomini che conoscono le vie del niente.

(Ri)scopriamo creature assolutamente diverse, che non dovrebbero esistere per come si è andata configurando la nostra idea del mondo che punta sul tornaconto, il successo, la garanzia. Invece sono lì. Sono sole, incomprese, contraddette, derubate, clandestine. Nel terzo millennio come invano ci hanno raccontato con voce sempre più flebile per la delusione del silenzio samaritani tutt’altro che dispersi e smarriti, soltanto rimasti desolatamente soli, milioni di uomini sopravvivono appesi a un pezzo di pane, al prezzo di un pezzo di pane.

La guerra civile europea, guerra sciagurata e criminale in un luogo di cui non hanno mai sentito parlare, e i cui pretesti (la denazificazione, il Donbass, la guerra fredda) risulterebbero loro del tutto incomprensibili se mai qualcuno tentasse di spiegarli, a migliaia di chilometri di distanza taglia il filo della sopravvivenza, li getta nel buio preistorico della fame.

Ieri il governo americano ordinava ai governi africani di non comprare il grano portato da navi russe, perché sarebbe stato saccheggiato nei silos ucraini. Raramente ho avvertito così forte la bruciante, implacabile distanza che separa il nostro mondo, quello delle sanzioni, della geopolitica, dei bilanciamenti di potenza, dalle eterne periferie geografiche e umane.

Penso agli affamati che nulla sanno delle nostre mischie, capolinea umani dove l’agricoltura è infima, le capanne spoglie, la morte familiare, la resa data per certa. Migliaia di bidonvilles e villaggi in Africa e in Asia ciascuno con lasua pena. Notizie come quella della strage in una chiesa della Nigeria, che si avvia a essere la nuova Somalia africana, acquistano in questa emergenza del grano una disperazione diversa. Qui è la lotta primitiva eterna tra pastori e contadini in una terra morta che si arroventa sotto una luce, che grida, lotta per sopravvivere, e risale in una disperata ferocia a qualcosa che viene prima addirittura delle fedi e dei fanatismi. La crisi nel commercio del grano ancora non c’entra. È la desertificazione che avanza, si lotta per una pozza d’acqua ancora umida, o i campi o il bestiame. Se il blocco e i prezzi resteranno alti tutto questo si aggraverà e moltiplicherà, toccherà le metropoli africane dove cercano rifugio e assistenza gli sconfitti della desertificazione. Scoppieranno le guerre più feroci, quelle della fame.

La prepotenza di Putin ha capovolto dunque la nostra luccicante globalizzazione, l’ha rovesciata, con il ricatto del grano, nel suo contrario: la globalizzazione della fame.

Riscopriamo l’uomo più povero del mondo, uno sterpaio di storie definite insolubili. L’uomo più povero del mondo è certamente l’abitante di uno di questi Paesi africani su cui incombe l’ombra scura di una nuova carestia. Anzi probabilmente è una donna, una donna africana. Ecco la sua vita quotidiana: cammina per ore, porta sulla testa un carico che può pesare fino a 50 chilogrammi, sulle spalle il suo ultimo nato e in grembo spesso un altro che deve ancora nascere. Dall’età di dieci anni pesta la manioca e si occupa dei fratelli più piccoli. A quattordici l’hanno fatta sposare, anzi violare, altre volte è semplicemente venduta come prostituta senza esitazioni. Pensiamo a lei quando dobbiamo giudicare la smisurata e colpevole inutilità di questa guerra.