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di Paolo Foschini

Corriere della Sera, 28 novembre 2023

Nell’Anno Europeo delle Competenze una indagine e un convegno del Forum. Donne penalizzate sul fronte leadership. Serve un sistema che certifichi le esperienze. Ci sono più donne che uomini, nel mondo del volontariato. Ma ad autodichiararsi abili al comando, o più elegantemente a dir di avere “competenze manageriali”, anche in quel mondo lì sono in prevalenza gli uomini. Finora. Le altre fotografie dell’album descrivono un pianeta - quello del volontariato appunto - fatto in prevalenza di cinquantenni, volendo fare una media. Con pochi giovanissimi, in proporzione, ma comunque con un bell’impegno anche da parte di under 40 e pensionati. Con competenze che riguardano soprattutto la sfera “sociale”, e che però sanno estendersi a tutti i settori (salvo quel che si è detto). Piuttosto col problema di vederle “riconosciute”, quelle competenze. E tuttavia, in un 2023 che è stato proclamato “Anno Europeo delle Competenze” e che purtroppo su questo punto vede l’Italia parecchio più indietro di (molti) altri Paesi dell’Unione, proprio il Terzo settore potrebbe fare da apripista per recuperare il terreno perduto.

Sono questi alcuni degli spunti che emergono dall’indagine “Noi+. Valorizza te stesso, valorizzi il volontariato” promossa da Forum del Terzo settore e Caritas Italiana in collaborazione con l’Università di Roma Tre: poco meno di 10mila tra volontarie e volontari intervistati in tutta Italia per farne emergere il cosa sanno fare, il cosa fanno, il cosa potrebbero imparare di più. Per “farlo”, naturalmente, ma soprattutto per “esserne consapevoli”. E quindi per valorizzarlo, specie se uno è giovane: non solo perché abbia peso in un curriculum, a fini professionali, ma prima ancora per contribuire alla propria formazione di “cittadini attivi”. Tutto questo al centro (anche) del convegno che sempre il Forum del Terzo settore ha organizzato per questa settimana (22 e 23 novembre) alle Industrie Fluviali Roma col titolo “Il ruolo del Terzo settore per lo sviluppo delle competenze. Diritto all’apprendimento permanente”.

Obiettivo dell’iniziativa, al di là del momento divulgativo, è quello più prettamente politico di “stimolare la nascita di una strategia nazionale che contrasti povertà educativa e disuguaglianze crescenti”. E (anche) la valorizzazione concreta di quel che si sa fare o si impara a fare attraverso le esperienze di volontariato va in questa direzione. Qualche numero. Il questionario di cui parliamo è stato compilato da 8.929 persone che hanno fatto esperienza di volontariato “almeno una volta nella vita”.

Undici le “aree di competenza” in cui era possibile riconoscersi. E al primo posto (con competenze messe in campo “sempre” o “molte volte”) vengono come si è detto quelle sociali con il 92,5 delle risposte, seguite dalla competenza di “apprendere ad apprendere” (86,9%) e dalle “competenze personali” (85%), dove il termine sta per “capacità di gestire le proprie emozioni, il comportamento, e adattarsi alle situazioni della vita”.

“Si tratta - spiega il professor Giovanni Serra, del Dipartimento di scienza della formazione di Roma Tre - di quelle competenze legate alla capacità di relazione con gli altri. Capacità che proprio attraverso l’attività di volontariato crescono a loro volta”, e che insieme alle altre di cui si è detto rappresentano un “patrimonio di sotf skills” da valorizzare. Le competenze meno presenti invece sono quelle manageriali (usate mai o qualche volta da circa il 40% del campione) così come quelle (più o meno stessa percentuale) legate alla “gestione del cambiamento”: nel senso che l’attitudine c’è, ma spesso manca la formazione (vedi il capitolo della transizione digitale). Altre considerazioni. La maggior parte delle persone impegnate nel volontariato ha un titolo di studio alto, diploma o laurea, e un lavoro a tempo pieno o part time (42,9%). Seguono i pensionati (26,4) mentre gli studenti sono soltanto l’8,7%. Sul fronte uomini/donne la percentuale di queste ultime che risposto “molte volte” supera di dieci punti quella degli uomini in nove sfere su undici.

Il punto è che non esiste un sistema che tali competenze le riconosca. Nonostante questo fosse uno degli obiettivi del Codice del Terzo settore. Licio Palazzini, che per il Forum coordina il Tavolo Servizio Civile, presentando le ragioni del convegno di Roma ha indicato tra le cause del problema “la spinta, specie negli ultimi anni, all’acquisizione di competenze finalizzata solo a entrare nel mercato del lavoro, come se non avessimo bisogno di migliorarci a prescindere”. E così, anche se in Italia un decreto del 2013 era andato nella giusta direzione con la definizione di “regole generali” per il riconoscimento delle competenze, nel 2023 siano ancora all’anno zero: con in più il paradosso per cui oggi, anche se in una Regione è possibile ottenere una certificazione di qualche tipo, non viene riconosciuta dalle altre. Ripartire dalle soft skills può essere un buon inizio.