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di Valentina Stella

Il Dubbio, 27 ottobre 2023

Perché si potrà celebrare il processo per il sequestro e l’omicidio di Giulio Regeni, nonostante non ci sia prova che gli 007 egiziani sappiano di esserne imputati a Roma? In sintesi: per le imputazioni di tortura statale, la disciplina dell’assenza non può tradursi in una immunità “de facto”. Il dettaglio lo spiegano le 23 pagine di motivazioni della sentenza numero 192 (relatore Petitti) depositata ieri dalla Corte costituzionale, che ha dichiarato illegittimo l’articolo 420- bis, comma 3, del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che il giudice procede in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura definiti dall’art. 1, comma 1, della Convenzione di New York contro la tortura, quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo, fatto salvo il diritto dell’imputato stesso a un nuovo processo in presenza per il riesame del merito della causa.

Come spiega una nota della Consulta, lo statuto universale del crimine di tortura, delineato dalle dichiarazioni sovranazionali e dai trattati, “è connaturato alla radicale incidenza di tale crimine sulla dignità della persona umana”. Pertanto, il dovere dello Stato di accertare giudizialmente la commissione di questo delitto si presenta come “il volto processuale del dovere di salvaguardia della dignità”. La Corte ha osservato che la paralisi sine die del processo per i delitti di tortura commessi da agenti pubblici, quale deriverebbe dall’impossibilità di notificare personalmente all’imputato gli atti di avvio del processo medesimo a causa della mancata cooperazione dello Stato di appartenenza, “non è accettabile, per diritto costituzionale interno, europeo e internazionale”. Essa infatti “si risolve nella creazione di un’immunità de facto”, che offende i diritti inviolabili della vittima (articolo 2 Cost.), il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e gli standard di tutela dei diritti umani, recepiti e promossi dalla Convenzione di New York (art. 117, primo comma, Cost.). La necessità costituzionale di evitare la stasi del processo può essere d’altronde soddisfatta senza alcuna riduzione delle facoltà partecipative dell’imputato, ma imprimendo ad esse una diversa scansione temporale, che si riassume nel diritto dell’imputato a ottenere in ogni fase e grado la riapertura del processo. Rimettendo al giudice comune l’attuazione di questo diritto nella concretezza del singolo caso, la Corte ha sottolineato che esso, proprio perché conserva all’imputato ogni facoltà processuale, garantisce che la procedibilità in assenza per i delitti di tortura statale sia “rispettosa del principio del giusto processo”. A sollevare la questione di legittimità costituzionale era stato il gup del Tribunale di Roma su richiesta della Procura. Secondo i giudici costituzionali, “ferma la presunzione di non colpevolezza che assiste i quattro funzionari egiziani, non può negarsi che si siano determinate obiettivamente le condizioni di una fattuale immunità extra ordinem, incompatibile con il diritto all’accertamento processuale, quale primaria espressione del divieto sovranazionale di tortura e dell’obbligo per gli Stati di perseguirla”. E aggiungono: “A prescindere dalle ragioni che l’hanno ispirata, la mancata comunicazione da parte dello Stato egiziano degli indirizzi dei propri dipendenti ha impedito finora, ed è destinata a impedire sine die, la celebrazione di un processo viceversa imposto dalla Convenzione di New York contro la tortura, in linea col diritto internazionale generale”.

In ultimo, una precisazione per chi aveva criticato la decisione della Consulta come lesiva delle garanzie capace di legittimare ulteriori “letture al ribasso” sul divieto di procedere in assenza dell’imputato: “L’illegittimità costituzionale della denunciata lacuna normativa, e la necessità di emendarla tramite la richiesta pronuncia additiva, non concerne quindi ogni ipotetica fattispecie nella quale la notifica personale della all’imputato sia resa impossibile dalla mancata assistenza dello Stato di appartenenza, ma inerisce esclusivamente alle imputazioni di tortura, rispetto alle quali soltanto l’improcedibilità, nelle riferite condizioni, si traduce nella violazione degli artt. 2, 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione alla Convenzione di New York contro la tortura”.