di Stefano Cappellini
La Repubblica, 11 marzo 2023
Come si cambia per governare, come si cambia per non morire. Succede spesso che l’esperienza di governo trasformi le persone. C’è una Giorgia Meloni prima di Palazzo Chigi, che nella sua autobiografia annoverava Vladimir Putin tra i modelli, e c’è una Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, strenua avversaria di Putin. C’è un Giuseppe Conte presidente del Consiglio, che apre le porte all’amministrazione Trump affinché indaghi nel nostro Paese sul Russiagate, e c’è un Conte non più presidente che parla del ruolo degli Usa nel mondo e pare Oliviero Diliberto.
Prendete il caso di Carlo Nordio, ministro della Giustizia, ex pm, editorialista per molti anni al Messaggero prima di accettare la candidatura per Fratelli d’Italia alle ultime elezioni politiche. Nel dibattito pubblico la figura di Nordio è legata a nobili battaglie garantiste: contro l’abuso della carcerazione preventiva, contro la pubblicazione indiscriminata delle intercettazioni e soprattutto contro il panpenalismo, cioè la tendenza ad affrontare ogni genere di problema o emergenza producendo nuove leggi e nuove fattispecie di reato. Sul tema Nordio è sempre stato categorico: “Più numerose sono le leggi dello Stato, più lo Stato si corrompe”, scriveva sul Messaggero il 18 marzo 2015.
Concetto ribadito ogni qual volta gli è capitato di scriverne o di parlarne in pubblico, spesso citando l’amato Tacito, come nel caso del manifesto di giustizia consegnato al Foglio nel dicembre scorso, dopo essersi già insediato al ministero: “La causa principale della paralisi risiede nelle nostre leggi: troppo numerose per essere conosciute e troppo contraddittorie per essere applicate. Con la sua inconfondibile icastica concisione Tacito scolpì questa verità: corruptissima repubblica, pluirimae leges”.
Nordio ha sempre deplorato la tendenza della politica italiana a mettere una toppa ingolfando il codice penale, al punto che il 4 giugno 2022, pochi mesi prima di diventare ministro, scriveva: “Si pensa nel più perfetto stile manettaro che solo la galera può costituire un efficace deterrente al crimine”. Non solo, se si volesse incrociare l’allergia di Nordio per la produzione di nuove leggi con il tema dei migranti bisognerebbe citare anche quanto sosteneva l’8 luglio 2019: “Di fronte a piccole imbarcazioni stracariche di disperati è inutile dire che la pacchia è finita quando tutti sanno che, con o senza l’intervento della magistratura, la soluzione non può che essere quella umanitaria”. Nordio era anche un fiero avversario dell’ergastolo ostativo, che esclude dai principali benefici penitenziari gli autori di reati più gravi.
Poi a Nordio è successo di diventare ministro e improvvisamente è diventato un altro uomo. Passano pochi giorni dall’insediamento del governo e Meloni conferma l’ergastolo ostativo senza che Nordio faccia bi o faccia ba. Quindi, sull’onda dell’indignazione per un fatto di cronaca, il governo vara il famigerato decreto anti-rave con pene severissime, una fattispecie di reato a cavallo tra una legge anti-capelloni e un borborigmo di pensionato reazionario al parco, un complesso di norme che al Nordio editorialista avrebbe prodotto un attacco di itterizia. Infine, ieri, l’apoteosi del cambiamento.
Tocca a Nordio stesso, in conferenza stampa, illustrare alcuni punti chiave della nuova legge anti scafisti, che introduce un nuovo reato in conseguenza di traffico di migranti, con altre pene severissime, un pacchetto di misure sceriffe e velleitarie che al Nordio di un tempo avrebbero prodotto eruzioni cutanee su tutto il corpo e che per giunta Meloni, a dare il colpo di grazia al ministro di Giustizia, scusate il gioco, dichiara di voler applicare “su tutto il globo terracqueo”. Praticamente Nordio, da garantista a 24 carati, corre il rischio di diventare la procura di Trani dello scafismo mondiale.
Ora, però, per tutelare la salute e l’autostima del ministro, l’obiettivo principale è nascondergli un altro suo scritto autografo, del maggio 2016, quello nel quale il Guardasigilli scriveva: “Se si vuole eliminare il rischio di interpretazioni estrose o creative il rimedio è molto semplice: scrivere le leggi in modo chiaro, come insegnava Zeleuco, legislatore della Locride, che aveva imposto al proponente di una nuova legge di farlo con una corda al collo, cosicché in caso di rigetto fosse subito impiccato”.