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di Giulia Bonezzi

Il Giorno, 27 ottobre 2023

“Un infermiere ogni 200 detenuti per turno di giorno, uno ogni 600 di notte, con il supporto di un unico Oss (operatore socio-sanitario)”. Numeri estrapolati con fatica dai sindacati per provare a far luce sul buco nero della sanità penitenziaria, allargato dalla fuga di personale da tutta la sanità pubblica dopo la pandemia e illuminato solo fugacemente, all’inizio di quest’anno, dal caso mediatico di Alfredo Cospito. Ci hanno provato, martedì scorso, anche le commissioni Sanità e Carceri del Pirellone, ascoltando la Rsu dell’Asst Santi Paolo e Carlo sulla situazione di infermieri, Oss, fisioterapisti, tecnici, assistenti sociali, educatori che lavorano nelle prigioni milanesi dove l’assistenza sanitaria è affidata interamente all’Azienda socio-sanitaria territoriale cui appartengono anche gli ospedali San Carlo e San Paolo, che ha pure un “repartino” di Medicina protetta.

E nel cui pronto soccorso, cinque settimane fa, un agente della penitenziaria di San Vittore è precipitato per due piani in un’intercapedine mentre inseguiva un detenuto scappato dal bagno di una stanza per infettivi: “Abbiamo chiesto un protocollo per gestire i pazienti reclusi che transitano in pronto soccorso e uno spazio dedicato a loro e agli agenti”, ha spiegato ai consiglieri Andrea Pinna della Fp Cgil, referente della maggioranza della Rsu dell’Asst dei Santi, ricostruendo un quadro che s’è dovuto basare su numeri pubblici ministeriali per la popolazione di 3.726 detenuti, “pari a quella di un piccolo comune, in carico esclusivo alla nostra Asst”: dal “modello” Bollate a San Vittore, dagli ergastolani di Opera ai ragazzini del Beccaria, un mix di “potenziali pazienti” ma il numero e i livelli di complessità degli effettivi l’Asst alla Rsu non l’ha fornito, limitandosi a rispondere di “dettagliare meglio la richiesta” alla vigilia dell’audizione in Commissione. Alla quale invece Andrea De Santo, coordinatore della Fp Cgil Lombardia Dap, ha raccontato il punto di vista degli educatori su “situazioni che possiamo solo definire complesse, rendendoci conto che potremmo fare molto meglio se ci fosse una programmazione fondata sui bisogni della popolazione carceraria, che sono cambiati, e sulle risorse di oggi” mentre il sistema “è fermo ad anni fa”.

Nemmeno sul personale sanitario “assegnato ai singoli istituti” del Milanese “per categoria” i sindacati dell’Asst dei Santi hanno ottenuto numeri ufficiali, ma hanno ricostruito uno scenario drasticamente “mutato dopo la pandemia, in primis a causa della carenza ormai drammatica, in particolare di infermieri - ha spiegato Pinna -. La dirigente delle professioni sanitarie enunciava alla Rsu gli sforzi per reclutare il personale pur “non essendo vigenti né a livello nazionale né regionale requisiti di accreditamento”, dimenticando i metodi coi quali viene costretto, in maniera punitiva, a garantire l’assistenza nelle carceri.

Recentemente l’assistenza alla palazzina Sai (l’ex centro clinico, ndr) di Opera, con circa 98 pazienti più complessi, è stata esternalizzata a una cooperativa. Abbiamo personale ingaggiato con contratti atipici che lavora insieme a dipendenti della Asst con forte turnover e senza continuità. Varrebbe poi la pena verificare la presenza e il numero di medici, per la quasi totalità libero professionisti: ci è stato segnalato che parrebbero esserci “fogli terapia” di taluni reclusi non aggiornati da anni”. Del resto, si domanda il referente della Rsu, con un infermiere ogni duecento detenuti “come può essere rispettato il protocollo di prevenzione del rischio suicidiario aggiornato dalla Regione l’anno scorso?”.

E terapie come gli antipsicotici, che in base a un’inchiesta di Altreconomia su 15 carceri italiane tra cui San Vittore ed Opera vedrebbero dietro le sbarre un consumo cinque volte superiore a quello della popolazione generale, “vengono somministrate o semplicemente distribuite?”. “Non è inusuale”, spiega l’altro sindacalista De Santo, che i consigli di disciplina affrontino casi di detenuti scoperti ad accumulare farmaci. “Con un infermiere ogni 200 persone, come si fa a controllare? - attacca la consigliera regionale del Pd Carmela Rozza -. E se succede qualcosa sarà lui o lei a risponderne, non chi l’ha mandato lì, magari per punizione, e magari è un neolaureato. Gli infermieri li dobbiamo trattenere, non farli scappare”.

Alla Regione, i sindacati dell’Asst dei Santi chiedono “standard di accreditamento appropriati”, con “contingenti minimi sotto i quali non è possibile garantire la reale somministrazione delle terapie”; “chiarezza sulle modalità di reclutamento” e un “finanziamento ad hoc” per garantire “una specifica indennità” ai colleghi che lavorano in carcere, oltre a “formazione, supporto psicologico, nuove modalità di coinvolgimento che superino i diktat”.