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di Luca Bonzanni

Il Giorno, 14 ottobre 2023

Di fronte a situazioni di affollamento, la fatica di realizzare percorsi professionali mirati. Solo l’8% è impegnato in imprese o cooperative. Nel carcere di Bergamo il progetto “Forno al fresco”. Lavorare per il proprio futuro, superando l’errore del passato. La seconda opportunità scorre da un’occupazione, da una competenza in più, dai rudimenti di un nuovo mestiere. Di fronte a carceri perennemente affollate, la fatica è però quella di costruire un percorso per il maggior numero di detenuti: in Lombardia lavora ufficialmente all’incirca un recluso su tre, ma solo una piccola parte è impiegata alle dipendenze di cooperative o imprese private. Sono le due velocità del lavoro in carcere, come racconta una recente ricerca del Garante nazionale dei detenuti. A fronte di 8.597 detenuti nelle carceri lombarde (ma la capienza è di soli 6.153 posti), gli ultimi dati disponibili raccontano un totale di 3.020 “detenuti che lavorano” (il 35% del totale). Di questi, secondo la definizione ufficiale, 2.347 “lavorano alle dipendenze dell’amministrazione”: sono cioè impiegati in mansioni all’interno dei penitenziari con lavori “svolti a rotazione per periodi brevi - si legge nel report del garante dei detenuti -, in modo da consentire a un numero maggiore di persone di lavorare e di guadagnare nel corso dell’anno”. Se “il motivo è certamente nobile”, premette il garante, allo stesso tempo si tratta di “forme ardite di lavoro atipico”, che portano a “una paghetta” più che a uno stipendio vero e proprio. I progetti più strutturati sono invece quelli degli “enti terzi”: sono così 673 i detenuti lombardi (solo l’8% del totale) che lavorano “per imprese o cooperative” non riconducibili all’amministrazione penitenziaria, in questo caso “con contratti tendenzialmente più duraturi nel tempo”.

Lavorare permette anche di attenuare una situazione spesso stressante, acuita dal costante sovraffollamento: l’ultima rilevazione del ministero della Giustizia indica che in tutti e 18 i penitenziari lombardi il numero dei detenuti presenti supera quello dei posti disponibili; Canton Monbello a Brescia (356 presenti a fronte di 185 posti) e la casa circondariale di Como (430 presenti per 226 posti) sono le due strutture col più alto tasso d’affollamento d’Italia, ospitando praticamente quasi il doppio dei reclusi rispetto alla capienza regolamentare.

La sfida, appunto, è costruire un percorso per quel pezzo di vita che verrà dopo il carcere. “I detenuti che non lavorano hanno una recidiva del 70%, che si abbassa però al 2% per chi lavora”, ragiona Daniele Rota, direttore della cooperativa sociale Calimero, con sede ad Albino (Bergamo), che proprio ieri ha inaugurato un nuovo progetto per il reinserimento dei reclusi.

Si chiama “Forno al Fresco” ed è il marchio dei prodotti di panetteria e pasticceria che prendono forma nel forno del carcere di Bergamo: un’esperienza che ha mosso i primi passi nel 2012, permettendo negli anni il coinvolgimento di una cinquantina di detenuti, e che ora trova rinnovato slancio. La cooperativa occupa attualmente sette detenuti: “L’obiettivo è quello di insegnare un mestiere, con la prospettiva del reinserimento nelle comunità - spiega Mauro Magistrati, presidente di Calimero -. È fondamentale il rapporto col territorio, con le istituzioni, con i consumatori”. Tra gli obiettivi concreti, l’orizzonte è quello di sfornare circa 8mila panettoni in vista del prossimo Natale. Prodotti che saranno venduti anche in uno speciale bar di Nembro, “Dolci Sogni Liberi”, che vede al lavoro degli altri detenuti bergamaschi: “Questo progetto - osserva Rosa Lucia Tramontano, responsabile del progetto - è un’azione civile forte, anche per la sicurezza sociale: aiutare queste persone vuol dire aiutare la comunità, riducendo la recidiva”.