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di Domenico Quirico

La Stampa, 31 luglio 2023

Il problema non sono la Cina, la Russia, i mercenari della Wagner o i califfati redivivi. L’Ue si è illusa di affiancare l’influenza francese senza capire l’ostilità degli africani. Immagini da Niamey, ennesima capitale di un golpe: folla furibonda, stracciata, urlante che marcia e circonda minacciosamente la ambasciata di Francia. I soldati (golpisti) lanciano lacrimogeni, impediscono il peggio. Finisce nella polvere, calpestato da piedi giubilanti, il cartello con i colori della République. E poi il sonoro del tumulto: “Viva Putin”, “Viva la Russia”, “Viva l’esercito” che ha deposto il presidente Bazoum.

Mi viene un dubbio di fronte a questa scena, a questo popolo arrabbiato fino alla violenza contro il Paese europeo che si vanta di essere il simbolo dell’idea occidentale della universalità dei diritti. E che da quando a parole ha ammainato la bandiera coloniale, sostiene di essere amico fraterno, stampella e fratello del Niger e degli altri ex sudditi.

Allora rispondo. L’Africa noi europei dobbiamo ancora scoprirla. In tutto il continente, ma soprattutto qui dove Parigi fa e disfa come se il tempo si fosse fermato, il problema più grande per gli europei sono proprio gli africani. Insisto: non la Cina che si insinua e compra, non la Russia che brandeggia la Wagner dei mercenari, non i califfati dello Stato islamico del grande Sahara che sorgono ovunque e dilagano sempre più a Sud verso il golfo di Guinea. Il vero problema non sono neppure i golpisti pittoreschi del Mali, del Burkina Faso e ora del Niger. Sono gli africani, i maliani i nigerini i saheliani nella loro condizione umana, nel mistero (per noi) della loro identità di cittadini marginali del ventunesimo secolo neocapitalista. Ne abbiamo smarrito la latitudine e la longitudine.

A Parigi, a Bruxelles, a Roma dove si spediscono soldati nel lato meridionale dell’Europa, facendo passare qui in Niger il citatissimo “confine meridionale d’Europa” che è stato fissato proprio da queste parti, perché Agadez, all’imbocco del deserto, è la Lampedusa del mare di sabbia, primo balzo dei fuggiaschi. Al colonialismo francese, sclerotico, con poche palanche, ma non meno arrogante e deciso a resistere, zitto zitto, accordo dopo accordo, si sta affiancando, non sostituendo, un nuovo imperialismo con la bandiera europea. Quanti dei politici di destra e di gauche, a Bruxelles, a Roma, in Europa sanno chi sono gli uomini che vivono in questa parte disperata del mondo, quali sono i loro bisogni, le loro accanite speranze, di come vogliono liberarsi della vecchia pelle? Sanno che il Niger è un Paese dove non ci sono migranti ma solo perché sono troppo poveri perfino per partire? Che su venti milioni di abitanti cinque almeno vivono incastrati sulla pericolosa soglia della fame? Che i migranti sono in Niger un businness a cui partecipano, scopertamente, anche sotto il democratico e occidentalizzante Barzoum, i politici, i gendarmi, la polizia, l’esercito, le clientele del potere che si riempiono le saccocce?

In questi giorni del golpe, oltre agli slogan sulla restaurazione della “democrazia”, sarebbe stato importante sentire qualcuno, nelle cancellerie che contano, chiedersi se questi scalmanati che ieri sono andati a far chiasso davanti alla ambasciata francese avevano davvero, come bisogno primario, di aiuti europei per portare il loro esercito nel 2025 a 50 mila uomini e a centomila nel 2030? Se ai poveracci che vivono nelle baracche e nelle capanne senza luce e senza acqua possa bastare il nostro striminzito catechismo che prevede per loro di farli diventare la plebe di una gigantesca caserma-luna park popolata di rambo europei, a cui forniremo la inevitabile “intelligence” e gli effetti speciali di droni e aerei da caccia. Alla loro miseria in cui in sessanta anni di indipendenze non abbiamo in alcun modo posto rimedio, per merito del fedelissimo presidente Bazoum, facciamo dono di questa modernità bellicosa.

Se si cercasse di capire impulsi, passioni, lavoro, amore, demoni, sì anche i demoni, di questa gente sorgerebbe qualche dubbio sulla intelligenza di rispondere ai fatti di Niamey, come ha fatto Macron, con la minaccia di “risposte immediate e irremovibili” in caso di “attacco contro la Francia e i suoi interessi”.

Di chi è la colpa se il Niger, uno dei maggiori produttori di uranio, il salvadanaio di Areva ora Orano, con riserve di petrolio stimate di miliardi di barili, attraverso cui si sta completando l’oleodotto più grande dell’Africa, è uno dei Paesi più poveri del mondo? Chi ha rubato i soldi, dall’epoca della indipendenza, gli aiuti internazionali, l’aiuto al fantomatico Sviluppo?

Certo i soldi non li hanno rubati i cinesi o Putin e gli avvoltoi della Wagner (che qui non hanno ancora messo piede) e neppure i jihadisti, troppo impegnati a purificare il Sahel dai cattivi musulmani. Ecco allora che veniamo ai macroniani e intoccabili “interessi francesi”: li hanno ben tutelati sotto i presidenti e i golpisti che la Francia ha tenuto in piedi in Niger fino all’altro ieri. Eccoli i ladri. E negli interessi francesi c’è anche lui, Barzoum, perché pronto a dir sì a ogni richiesta, e che fino a qualche settimana fa negava che nel suo Paese stesse montando un sentimento antifrancese. La Francia, e il modernismo nelle chiacchiere da esibire nei convegni internazionali, era la sua rendita politica.

Calcolo sbagliato. Non si è accorto che in tutto il Sahel, e non solo, sta montando un nuovo anti-colonialismo, una nuova Africa furibonda a cui l’irrompere della Cina e la tragedia del jihadismo ha offerto spunti di riflessione e rabbia. Che si riflette anche nel moltiplicarsi delle “giunte militari patriottiche” e nella rivolta delle società civili che non vogliono più essere vittime inermi della violenza jihadista e della contro violenza della lotta al terrorismo occidentale. A costo di trattare con i fanatici e di farli entrare nel gioco politico. A costo di accettare i Colonnelli e i loro oscuri accidenti.

La Francia sta cercando di insabbiare l’Europa nella sua guerra africana per dividere i costi, la retorica e le colpe. Incassando i profitti. L’Europa, e l’Italia in cui ormai si parla di “quarte sponde” da presidiare, appare molto disposta a farsi ingannare. Attenzione a non diventare parte dell’odio che finora era dedicato alla potenza coloniale in servizio permanete effettivo. C’è, ad esempio, un contingente italiano parte di questa missione in Niger che “addestra” i militari locali. Il risultato, alla luce del golpe, non mi sembra esaltante.