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di Giuseppe Salvaggiulo

La Stampa, 28 maggio 2023

Il pm delle nuove indagini: “Abbiamo il dovere di parlare contro l’omertà. Abuso d’ufficio? Con l’abolizione restano impuniti i reati peggiori”.

“La mafia si basa sull’omertà prodotta dalla sua forza intimidatrice. L’omertà vive nel silenzio, che è il principale alleato della mafia. Il primo a capirlo fu Chinnici. Quindi noi magistrati abbiamo non il diritto, ma il dovere di intervenire per scongiurare il silenzio. Soprattutto in occasioni importanti come quella odierna”, dice Luca Tescaroli, procuratore aggiunto di Firenze e coordinatore con Luca Turco delle nuove indagini sui mandanti esterni delle stragi del ‘93.

Non si crea un’attesa spasmodica sull’esito delle inchieste?

“Bisogna distinguere. Io non intendo riferirmi al contenuto delle indagini, su cui deve sussistere il massimo riserbo. Questo non significa che non si debba rendere conto dei risultati ottenuti. Io parlo delle sei sentenze già definitive, che hanno portato a 32 condanne per le stragi del ‘93-’94. I corleonesi piegarono lo Stato a suon di bombe per condizionare la politica legislativa di governo e parlamento”.

Questa è una lettura storica?

“Noi non facciamo gli storici. Si tratta di verità giudiziaria. L’obiettivo era incidere su 41 bis, norme sui collaboratori di giustizia, sequestri e confische di beni”.

È ancora possibile andare oltre, dopo 30 anni?

“Non è solo un obbligo giuridico, poiché le stragi non si prescrivono, ma anche un dovere morale nei confronti delle vittime inermi e innocenti”.

Qual è la correlazione stragi- 41 bis?

“Il 41 bis viene esteso ai mafiosi dopo la strage di Capaci del ‘92 e applicato la sera stessa di quella di via d’Amelio. Tanto questa misura era temuta, che le stragi del luglio ‘93 vengono eseguite subito dopo il primo rinnovo. Il 16 luglio il ministro della Giustizia decide di prorogare il 41 bis. Le notifiche ai 242 detenuti partono il 20 luglio e terminano il 27. La notte successiva si verificano le tre stragi simultanee a Roma e Milano. L’esplosivo era partito da Palermo per Roma il 20 luglio, per Milano l’indomani. C’è un nesso causa-effetto”.

Il calcolo dei mafiosi si è rivelato errato. La loro strategia un boomerang. Le leggi antimafia sono rimaste, rafforzate…

“Questo è il punto. Possibile che i mafiosi si siano comportati in modo così scellerato, contro il loro interesse? Oppure questa irrazionalità è solo apparente, perché cela interessi ulteriori ed esterni, perseguiti con le bombe?”.

Perché dobbiamo ipotizzare un secondo fine?

“È la modalità delle stragi del ‘93 a suggerirlo. Non uccidono un magistrato, un politico, le scorte. Uccidono persone sconosciute, di notte, in casa. Il messaggio è: tutti sono in pericolo, ovunque. Anche nel sonno. Come in guerra. Erano bombe per mettere in scacco la democrazia”.

Il procuratore Melillo ha citato le rivendicazioni della Falange Armata…

“Sono una prova ulteriore della matrice eversiva. Annunciavano che ci sarebbero state altre stragi, anche di giorno. Come quella allo stadio Olimpico di Roma, non realizzata per il mancato funzionamento del telecomando”.

Perché non ci riprovarono?

“È una domanda a cui finora le sentenze non hanno dato risposta. Fatto sta che la campagna stragista cessò”.

È l’unica domanda senza risposta?

“No. Ce ne sono altri, tra i quali perché volevano colpire i carabinieri, e in modo così devastante? Graviano aveva arricchito l’esplosivo con tondini di ferro”.

Lei qualche ipotesi di risposta ce l’ha?

“Il nostro ufficio è impegnato a fare quanto è possibile per appurare se ci furono convergenze di interessi da parte di soggetti esterni a cosa nostra, sia a livello ideativo sia a livello esecutivo. Uno scenario probabile. Il bicchiere della verità è quasi pieno. Stiamo cercando di capire se riusciamo a riempirlo”.

I collaboratori di giustizia sono ancora importanti?

“Le 37 condanne per la strage di Capaci, processo che io seguii a Caltanissetta, dipesero fondamentalmente da 8 collaboratori di giustizia. Le 32 condanne per le stragi del ‘93-’94 da 13 collaboratori. L’ultima collaborazione qualitativamente rilevante è quella di Gaspare Spatuzza nel2008. Da allora i boss hanno preferito morire in carcere, o sperare nella possibilità di fruire dei benefici penitenziari”.

C’è una motivazione specifica?

“La collaborazione va supportata in due modi: un efficiente servizio di protezione e una normativa che la incentivi. Il gap di trattamento tra pentiti e irriducibili si è ridotto. Ciò disincentiva le collaborazioni. Occorre una riflessione collettiva, posto che la valutazione finale spetta al legislatore”.

Che cosa si potrebbe fare?

“Servono ulteriori e tangibili vantaggi per chi si affida con serietà allo Stato. Rimodulare il periodo decennale di necessaria detenzione prima di ottenere la libertà sarebbe uno strumento di sicura incentivazione, per collaborazioni importanti, attendibili e severamente controllate”.

Lei è anche titolare di inchieste sulla pubblica amministrazione. Che pensa dell’abolizione del reato di abuso di ufficio?

“Ci sono obblighi internazionali che impongono di punire condotte devianti della pubblica amministrazione. Per esempio i baroni che truccano i concorsi universitari. Li lasciamo impuniti? Naturalmente si tratta di scelte politiche che vanno rimesse al legislatore, ma a me sembrano condotte riprovevoli”.

Il ministro Nordio sostiene che i magistrati non dovrebbero commentare le leggi in discussione. Altrimenti i politici commenteranno le sentenze…

“Perché, scusi, non accade già?”.