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di Francesca D’Angelo

La Stampa, 10 aprile 2024

Nella seconda stagione de “Il Re”, su Sky da venerdì, il protagonista finisce nella sua prigione circondato da bande che vogliono fargli la pelle. Altro che arancini. La seconda stagione de “Il Re”, su Sky da venerdì, è il De Profundis de Il Commissario Montalbano. Nei nuovi episodi Luca Zingaretti è (se possibile) ancora più tarantolato di due anni fa, quando esordiva nei panni del duro direttore carcerario Bruno Testori. Un uomo che interpreta la legge a modo suo, oggi come allora. “Il re è tornato - chiosa Zingaretti - un monarca assoluto che governa il carcere con metodi a volte discutibili, vantando quasi diritti di vita e di morte sulla sua popolazione”. E ora, però, si ritrova in gattabuia.

Il Re ha perso il suo regno?

“La storia ricomincia là dove si era interrotta, ossia dalla caduta: Testori finisce in carcere, nel suo carcere, circondato da bande che vogliono fargli la pelle. Deve quindi cercare di sopravvivere e, allo stesso, riorganizzarsi. È un animale in gabbia e in fondo questo è lo spirito della serie: più che una storia di denuncia sociale, Il re sfrutta il forzato isolamento per fare esplodere le dinamiche tra i personaggi”.

Cosa pensa però dell’attuale stato delle carceri italiane?

“La situazione è drammatica. Siamo stati più e più volte sanzionati da organismi internazionali, così come dalla Ue, sia per le nostre prigioni sia per l’istituzione del 41 bis. Nell’ultimo anno il quadro però è peggiorato: è aumentato in modo esponenziale il numero di suicidi di detenuti che non dovevano trovarsi in prigione, per via della loro salute mentale. Ma c’è un altro dato ancora più eloquente: è cresciuto pure il suicidio degli agenti di custodia”.

Come se lo spiega?

“Non solo le strutture sono fatiscenti, a mancare è l’idea stessa di carcere come luogo di redenzione al fine di un reintegro sociale. Purtroppo sono solo strutture punitive, dove a volte si vive in maniera bestiale. Uscite da lì, spesso le persone sono indotte solo a delinquere di nuovo…”.

Qual è la soluzione?

“Servono investimenti, ma onestamente non mi sento ottimista. È da quando sono piccolo che sento parlare di due cose: della crisi del cinema e della giustizia che non funziona”.

Testori sostiene che “la violenza fa parte dell’uomo e anche della giustizia”. Questa idea del pugno di ferro è diventata tristemente attuale?

“Quando è scoppiato il Covid, tutti ripetevamo che ne saremmo usciti migliori: il lockdown ci aveva fatto riflettere sulle priorità della vita. Purtroppo però non è andata così: siamo più arrabbiati di prima e più consapevoli che il mondo va in una direzione non auspicabile per nessuno. Inoltre, politicamente un po’ ovunque sta prendendo piede il pensiero basico di una destra che dà risposte semplici a problemi complessi”.

Avete girato nell’ex carcere torinese Le Nuove, com’è stata l’esperienza?

“Girare a Le Nuove ci ha aiutato a calarci nei ruoli: gli accadimenti che succedono in un luogo restano lì attaccati. Li percepisci. Ho poi avuto occasione di parlare con degli ex detenuti scoprendo casi di solidarietà. Per esempio, il primo giorno, quando entri, trovi il letto fatto e la cena pronta. È un gesto per sostenersi”.

Scommettere su Il re è anche un modo per affrancarsi da un personaggio ingombrante come Montalbano?

“Non ho mai scelto i lavori in base a una strategia. Sono sempre stato un attore incosciente, si figuri che, uscito dall’Accademia, scelsi come primo personaggio in una pièce teatrale un detenuto gay di un campo di prigionia. Erano altri tempi e la gente ci insultava! Ma io sono fatto così: scelgo quel che mi rende felice”.