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di Silvia Fumarola

La Repubblica, 17 marzo 2022

L’attore protagonista su Sky e in streaming su Now dal 18 marzo: “Nessun desiderio di riscatto o di dimenticare Montalbano: semplicemente è un’esperienza chiusa”.

“Bruno Testori è un uomo che si sente superiore alla giustizia”, dice Luca Zingaretti, “anche se io non sono così netto nel giudizio. Mi sono sempre dato la regola di non giudicare i personaggi che interpreto. Cerco di coglierne le sfumature, l’umanità, i conflitti. Testori è una sfida per un attore. La bellezza di questa serie è che tenta di uscire fuori dai cliché: in fondo nessuno di noi è completamente buono o cattivo”.

Dimenticate le nuotate, il sole, i paesaggi rassicuranti, l’idea di giustizia del Commissario Montalbano. Nella nuova serie “Il re”, diretta da Giuseppe Gagliardi, dal 18 marzo su Sky Atlantic e in streaming su Now, Zingaretti interpreta il direttore di un carcere “che a un certo punto decide di farsi Dio, con un’idea tutta sua della giustizia”.

Il prison drama (produzione Sky Studios con Lorenzo Mieli per The Apartment e con Wildside, in collaborazione con Zocotoco) racconta la storia del controverso direttore di un carcere, sovrano assoluto di una struttura - il San Michele - in cui nessuna delle leggi dello Stato ha valore, perché il bene e il male dipendono unicamente dal suo giudizio.

“Il male è contagioso”, spiega l’attore, “lo dice la storia del mondo dall’Antico Testamento a oggi”. Nel cast c’è Isabella Ragonese, nei panni di un’agente carceraria, Anna Bonaiuto interpreta il pubblico ministero che indaga sulla rete di illeciti e connivenze che fanno capo a Testori, Barbora Bobulova ha il ruolo dell’ex moglie del protagonista, Giorgio Colangeli è il capo delle guardie, amico del direttore. Stefano Bises, Peppe Fiore, Bernardo Pellegrini e Davide Serino, che firmano la sceneggiatura, raccontano un uomo che perde il controllo; Zingaretti lo paragona al colonnello Kurtz (Marlon Brando) in Apocalypse now.

“Testori perde i punti cardinali, il senso della missione che prima era chiara”, spiega l’attore, “è un regalo per un attore interpretare un ruolo di questo tipo. Sky ha cambiato tempi e modalità del racconto televisivo. Credo che sia interessante per il pubblico televisivo, perché arriva a chiedersi: ‘Cosa avrei fatto al suo posto’?”. “È un progetto che è nato più di due anni fa”, racconta Lorenzo Mieli, “con l’idea di partire dal prison drama per raccontare come negoziare con i criminali, l’uso della violenza come mezzo per il controllo. C’è stato bisogno di tanto studio e preparazione, un lavoro fatto dagli sceneggiatori”.

Le uniche che riescono a metterlo in crisi sono le donne: la ex moglie, la figlia e la pm che cerca la verità. “Hanno idee sulla giustizia molto diverse”, chiarisce Bonaiuto, che interpreta la magistrata chiamata a indagare in carcere dopo le morti e le violenze, “lei ha la bilancia in mano, per la giustizia ha rinunciato alla sua vita privata, è una donna che deve faticare dieci volte di più, poi si è messa una corazza. Mi è piaciuta perché è anche spiritosa, sarcastica, irritante, non ha nulla di consolatorio. È una combattente: quando mi hanno proposto il ruolo ho detto subito di sì”.

Zingaretti racconta di aver parlato “con magistrati, detenuti e ex detenuti, agenti penitenziari è parte del lavoro di documentazione”, spiega, “trovo impossibile un paragone con Montalbano, quello è un mondo delle favole, è una maschera creata da Andrea Camilleri, è commedia dell’arte che abbiamo lavorato per rendere reale”. Il cambio totale di registro spiazzerà il pubblico? “Non c’è alcun desiderio di riscatto, di volerlo dimenticare, mi sono sentito semplicemente di voler chiudere quell’esperienza perché sono venuti a mancare alcuni compagni”, dice l’attore. “Questo progetto nasce prima, ancora prima della chiusura di Montalbano, volevo raccontare un personaggio che all’improvviso perde la bussola. Non c’è alcun legame tra la fine di Montalbano e Il re perché da tempo stavo lavorando per portare storie che mi piaceva raccontare”.

Il carcere fa paura: celle, corridoi, sotterranei dove tutto può accadere. “Volevamo raccontare questo regno”, dice il regista Gagliardi, “e abbiamo usato il carcere abbandonato di Civitavecchia e il museo del carcere di Torino, soprattutto il panopticon centrale arriva dal carcere di Torino ed era un luogo ideale da cui far partire le varie vicende. Volevamo che la struttura schiacciasse i personaggi come un altro protagonista. E poi abbiamo impiantato tutto a Trieste che è lontana dall’immaginario italiano, una città che è incrocio tra culture, di frontiera”.