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di Daniela Lanni

La Stampa, 8 marzo 2023

“La nostra Onlus nasce per dare lavoro alle persone ma l’obiettivo è generare un cambiamento sistemico con tutta la popolazione” afferma l’imprenditrice leccese che, il 31 marzo, verrà insignita dal Presidente della Repubblica dell’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

“Non vendiamo prodotti ma progetti di vita”. È il messaggio che Luciana Delle Donne ripete con forza. Lei, donna del Sud, leccese doc, determinata, estrosa e geniale, a 61 anni, diventerà Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Un traguardo importante raggiunto dopo anni di duro lavoro e sacrifici. Ha fatto scelte che pochi avrebbero preso. Era una manager bancaria di successo con “casa in via dei Fiori Chiari a Milano, viaggi all’estero, fili di perle, camicie cifrate, serate nei posti che contano” racconta, poi qualcosa è cambiato, e dentro di lei è scattato il desiderio “di restituire un pezzo della sua fortuna agli altri”. Così, nel 2006, ha lasciato tutto per diventare l’anima, il corpo e il cervello di “Made in Carcere”, una Onlus fondata per “aiutare le persone” e “coinvolgere i detenuti dando loro un lavoro e un futuro”. La sua filosofia è quella di offrire una “seconda opportunità” alle donne detenute e una “doppia vita” ai tessuti.

Luciana sarà tra le trenta persone che, il prossimo 31 marzo, saranno insignite dal presidente Mattarella per essersi distinte per un’imprenditoria etica, per l’impegno a favore dei detenuti, per la solidarietà, per il volontariato, per attività in favore dell’inclusione sociale, della legalità, del diritto alla salute e per atti di eroismo. A lei va il riconoscimento “per la sua scelta di impegnarsi nell’aiutare le donne detenute ad avere una seconda opportunità, attraverso un percorso formativo necessario al loro reinserimento nella società lavorativa e civile”.

Luciana cosa l’ha spinta a lasciare la sua vita agiata e di successo e dedicarsi al volontariato?

“Avevo ottenuto tutto ciò che volevo nel mondo della finanza e ho deciso di dedicare le mie competenze a situazioni difficili, che nessuno voleva toccare. Così mi è venuta in mente la lavorazione in carcere con materiali di scarto. L’obiettivo? Dimostrare che bellezza ed eleganza potevano entrare in questi luoghi. Volevo dare una mano a contesti dimenticati senza andarmene all’estero, in Africa o Brasile, ma restare in Italia e dare il mio contributo al nostro Paese. Ho fondato Officina Creativa (di cui è presidente, ndr), una cooperativa sociale non a scopo di lucro, e creato il marchio “Made in Carcere”.

“Made in Carcere” mette in primo piano le detenute. Un progetto studiato per dare loro dignità e speranza.

“L’idea da sempre è quella di rimboccarci le maniche e ricostruire un mondo ideale dove il benessere delle persone diventa una priorità. Infatti, abbiamo ideato il Bil, Benessere interno lordo, che fa la parodia al Pil. È un sistema di monitoraggio del benessere utile a dimostrare che “fare bene, fa bene”. E fa bene a tutto: dall’economia all’ambiente, visto che usiamo materiale ecosostenibile. Il lavoro remunerato abbatte la recidiva del reato di circa il 90%. E chi esce dal carcere porta con sé conoscenza di ruoli, responsabilità e metodologia del mondo del lavoro. Quello che facciamo da 17 anni, ora, è diventato un cambiamento sistemico, un modello di economia rigenerativa e riparativa, un riferimento a livello nazionale e internazionale”.

Quante persone lavorano e hanno lavorato per questa Onlus?

“Sono coinvolte centinaia di persone, il 90% donne, tra i 22 ai 75 anni, tutte retribuite con contratti a tempo determinato o indeterminato, dipende dalla pena che devono scontare. Molte escono per il fine pena, altre restano. C’è spesso un riciclo tra loro. Siamo nei penitenziari di Lecce, Taranto, Trani, Bari e Matera”.

Cosa realizzate all’interno del carcere?

“La nostra attività è concentrata sui gadget personalizzati, supportiamo eventi, convegni, grandi supermercati. Loro regalano i nostri accessori che sono brandizzati, e sono tanti, alcuni esempi: braccialetti, borse, grembiuli, presine, porta pane, tovagliette, cuscini o laccetti porta cellulari. L’etichetta riportata sul prodotto rappresenta un modo di fare marketing e comunicazione sociale molto potenti, continuamente sotto gli occhi della gente. Poi c’è anche l’e-commerce”.

Il progetto si è allargato dando vita anche a piccole realtà sartoriali. In cosa consiste?

“Negli anni abbiamo ampliato le nostre attività fuori dalle carceri creando delle sartorie sociali di periferia, una decina sparse per l’Italia, come a Verona, Grosseto, Genova, Napoli, a cui trasferiamo il nostro know-how: forniamo tessuti, stampiamo l’etichetta, bottoni, cerniere. Ciò di cui hanno bisogno. Oltre alle sartorie, abbiamo rivolto l’attenzione verso nuovi settori: nel carcere minorile di Bari abbiamo avviato una pasticceria certificata biologica, che realizza e vende biscotti vegani le “Scappa-telle” e, grazie al sostegno di Fondazione CON IL SUD, collaboriamo con altre pasticcerie presso il minorile di Nisida e Taranto”.

Con “Made in Carcere” vuole generare un cambiamento sistemico con tutta la popolazione. Cosa intende?

“A noi non interessa la vendita degli oggetti che realizziamo ma, la cosa più importante, è costruire un percorso di consapevolezza anche fuori dal carcere. Infatti, lavoriamo sia nei penitenziari che fuori, con studenti universitari. Per il decimo anno accogliamo per un mese studenti dell’Università Louiss. Sono tra i cinque e gli otto, e stando insieme vengono a conoscenza di questa realtà. Diciamo che la vendita dei nostri prodotti serve per pagare gli stipendi, ma l’obiettivo primario è generare un cambiamento sistemico tra le persone, che vivano in carcere o fuori”.

Lei ha offerto una seconda opportunità a chi non pensava di averne più. Com’è cambiata la vita di queste persone?

“In meglio. I manufatti “Made in Carcere” rappresentano la filosofia della rinascita. Una seconda chance per le donne detenute e una nuova vita per tessuti e oggetti. Questo lavoro è creativo: permette di sviluppare e apprezzare la bellezza degli oggetti che si realizza, e acquistare consapevolezza e dignità. Poi queste donne aiutano a muovere l’economia. Il nostro obiettivo è quello di diffondere un nuovo stile di vita, fatto di inclusione sociale e sostenibilità ambientale”.

Il 31 marzo verrà insignita dal presidente della Repubblica dell’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Cosa significa questo traguardo?

“Che ha vinto il buon senso. Condivido questo premio con tutte le persone che mi supportano nel mio sogno, visione e missione. E, dopo Papa Bergoglio, che ha indossato un nostro braccialetto in occasione della visita fatta nel carcere di Poggio Reale nel 2016, ora cercherò di farlo mettere anche al presidente Mattarella”.

E non è l’unico premio…

“In effetti è un anno particolare. Sono rientrata tra le prime 100 donne in Europa premiate come imprenditrici sociali”.

Premi importanti che la spingono verso nuovi progetti?

“Ne abbiamo due grossi in cantiere: avviare il centro ricerca Officina Creativa, che vogliamo chiamare “Croc” e realizzare la prima casa delle donne a Cellino San Marco, in un bene confiscato alla mafia. Un luogo polifunzionale che vedrà l’adattabilità di un luogo fisico a tutto quello che il mercato richiederà”.

Luciana che messaggio invia alle donne in occasione dell’8 marzo?

“Le donne hanno un Dna storico differente da quello degli uomini. È fatto di sofferenze antiche. Sofferenze che danno più forza, energia, costanza, pazienza, tenacia, umiltà e creatività nel trovare vie d’uscita in tempo reale. In carcere diciamo che “abbiamo sempre una soluzione, i problemi li lasciamo agli incapaci”.