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di Maurizio Ferrera

Corriere della Sera, 30 novembre 2023

Oggi vivono nell’Unione europea 26 milioni di musulmani (il 5% del totale), una cifra in rapida crescita sia per i più alti tassi di fertilità sia per i flussi migratori. L’integrazione non è facile. È possibile che fra qualche mese l’Olanda abbia un primo ministro apertamente “islamofobo”. Si tratta di Geert Wilders, vincitore delle ultime elezioni. Nel suo programma c’è la proposta di bandire le moschee e le scuole coraniche, vietare il velo islamico negli edifici pubblici, bloccare l’immigrazione.

Domenica prossima Wilders sarà a Firenze, invitato da Salvini al convegno dei partiti appartenenti al gruppo parlamentare “Identità e Democrazia”, tutti variamente impegnati a combattere la cosiddetta invasione musulmana dell’Europa. Una strategia che in parte riflette e in parte cavalca radicati pregiudizi culturali e religiosi nei confronti di una comunità percepita come estranea ai valori occidentali. La crescente ostilità verso l’Islam potrebbe scatenare anche nel cuore dell’Europa quello “scontro di civiltà” per ora concentrato nelle aree più calde del Medio Oriente. Uno scenario allarmante.

Oggi vivono nell’Unione europea 26 milioni di musulmani (il 5% del totale), una cifra in rapida crescita sia per i più alti tassi di fertilità sia per i flussi migratori. Entro i prossimi 30 anni si stima che il numero possa salire fino a 75 milioni (14%). In Germania le comunità islamiche arriverebbero a costituire il 20% della popolazione, in Francia il 18%, in Italia il 15%.

Sappiamo che l’Islam non è solo una fede in senso stretto, ma una pratica di vita, ispirata da valori tradizionali e patriarcali. Ciò che più contrasta con l’ethos europeo è la difficoltà di separare la sfera religiosa-culturale da quella pubblica. Rispettare il principio di laicità e i diritti fondamentali dell’individuo richiede un delicato processo di apprendimento. Le politiche di inclusione giocano qui un ruolo fondamentale. Molti studi hanno dimostrato che, se hanno l’opportunità di integrarsi, gli immigrati musulmani sono capaci di adattarsi e assimilare i capisaldi della cultura e delle norme di convivenza europee. L’integrazione non è facile. Le manifestazioni esteriori dell’appartenenza all’Islam rendono i suoi fedeli facilmente riconoscibili e attivano categorizzazioni, pregiudizi e anche crimini d’odio da parte dei nativi. Secondo i sondaggi, almeno un terzo dei musulmani residenti hanno subito atti di discriminazione o violenza negli ultimi dodici mesi.

Ci sono due gruppi minoritari all’interno del mondo islamico europeo che suscitano oggettiva preoccupazione. Innanzitutto i fondamentalisti religiosi, sostenitori di un califfato islamico globale basato sulla Sharia. In Germania i servizi segreti stimano la presenza di più di 25 mila fanatici, di cui duemila potenziali attentatori. Numeri che non possono certo essere sottovalutati.

Il secondo gruppo è costituito dalle masse di giovani disoccupati di seconda o terza generazione, i quali non riescono a integrarsi e affollano le periferie di città come Parigi, Berlino, Amsterdam, Londra, Copenaghen e Stoccolma. In Francia si contano più di 750 “Zus” (zone urbane sensibili), dove vivono circa 6 milioni di giovani totalmente privi di punti di riferimento. Non si identificano con la cultura della famiglia di origine e detestano quella del Paese in cui vivono. Questa sotto-classe di esclusi diventa bacino di reclutamento per il fondamentalismo e principale bersaglio della crescente islamofobia. In Germania il movimento di estrema destra “Patrioti Europei” (Pegida) chiama questi giovani “rapefugees” (dal verbo inglese to rape, violentare e refugee rifugiato), in quanto presunti esponenti di una “jihad sessuale” contro le ragazze bianche.

La quota di elettori della Ue che votano partiti con orientamenti islamofobi è oggi pari al 14%, il triplo rispetto al 5% di vent’anni fa e il doppio rispetto alla percentuale di popolazione musulmana residente in Europa. La situazione internazionale influisce su questa tendenza di crescita. Nelle nostre città abbiamo recentemente visto molte manifestazioni di protesta contro Israele e a favore dei palestinesi. Seppure meno visibili, si sono moltiplicati però anche i crimini d’odio contro i musulmani, oltre che contro gli ebrei. Il conflitto arabo-israeliano non è più soltanto un “affare estero”, ma un sempre più divisivo “affare interno”. Due anni fa un gruppo di generali francesi in pensione evocò l’opportunità di una guerra civile per difendere il modello francese dalla minaccia delle “orde islamiche” delle periferie. Macron ha avviato un foro di dialogo volto a promuovere un “Islam francese”. Una buona idea, ma subito boicottata e infiltrata da agenti della Fratellanza Musulmana. L’Europa ha perso un’occasione storica di aiutare l’islam moderato e le correnti laiche durante le cosiddette primavere arabe. Oggi la Ue deve fronteggiare una sfida più complessa e cruciale: pacificare le tensioni crescenti al proprio interno, contenendo da un lato la radicalizzazione fondamentalista e disattivando dall’altro la spirale dell’islamofobia.