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di Giovanni Maria Jacobazzi

Il Dubbio, 16 luglio 2023

Nel suo libro, Antonucci spiega che il potere che hanno ora i magistrati, soprattutto che esercita funzioni requirenti, ha origini assai lontane. “La Repubblica giudiziaria. Una storia della magistratura italiana” (Marsilio, 288 pp. 19 euro) scritto dal giornalista del Foglio Ermes Antonucci è il primo libro sulla storia della magistratura nel periodo repubblicano. “Uno strumento utile per capire le varie tappe che hanno portato allo strapotere delle toghe”, ricorda l’autore che si è cimentato in questa inedita ricerca storica”.

“La maggior parte delle persone pensa che la magistratura abbia sostituto la politica dopo Tangentopoli. Ma non è così. Il potere che hanno ora i magistrati, soprattutto chi esercita funzioni requirenti, ha origini lontane”, prosegue Antonucci che ha suddiviso il suo libro in capitoli, uno per ogni decennio, dall’entrata in vigore della Costituzione, agli anni del terrorismo, alla P2, a Tangentopoli, alle picconate di Cossiga, al berlusconismo. Grande spazio nel libro hanno, ovviamente, le correnti delle toghe. Nate come centri di elaborazione culturale, le correnti, sulla carta delle associazioni di carattere privato, condizionano (vedasi il Palamaragate) in maniera profonda il Consiglio superiore della magistratura.

Va ricordato che in nessun altro Paese occidentale esistono, come in Italia, le correnti dei magistrati. “Il primo gruppo all’interno dell’Anm fu, nel 1957, Terzo potere (Tp) che sostenne le domande di cambiamento dei magistrati più giovani contro la struttura gerarchica dell’ordinamento giudiziario e il sistema di carriera”, sottolinea Antonucci. Per contrastare il progressismo di Tp, nel 1962 nacque Magistratura indipendente (Mi), la corrente conservatrice, poi in contrapposizione con Magistratura democratica (Md), nata nel 1964. Md fin da subito influenzerà il dibattito sulla giustizia dentro e fuori la magistratura. Di Md si ricorda la giurisprudenza alternativa, fondata su una visione marxista della giustizia come lotta di classe contro lo Stato borghese. I magistrati di Md ritenevano che il “diritto avesse natura discrezionale e che la decisione giudiziaria era un atto politico”. L’interpretazione della norma doveva essere a favore della classe deboli Nel convegno 1971, Giovanni Palombarini, uno dei padri fondatori di Md, propose il diritto “diseguale’ finalizzato proprio ad interpretare le norme per le classi subalterne.

Era necessario partecipare insieme ai lavoratori al processo di formazione della coscienza di classe, con l’obiettivo finale di rovesciare la struttura capitalistica “attraverso l’affermazione dell’egemonia proletaria nella società, la crisi dell’ideologia dominante e degli apparati repressivi”. Negli anni successivi i collegamenti con i partiti della sinistra parlamentare ed extraparlamentare si fecero sempre più intensi, favoriti anche da un diverso atteggiamento del Pci nei confronti della magistratura a seguito di un ricambio generazionale. Il collegamento magistratura- politica era fondamentale nel quadro di una strategia unitaria “per sconfiggere il disegno reazionario e di ristrutturazione neocapitalista”. Una immagine rende bene il clima di quegli anni. Ed è quella durante i funerali di Ottorino Pesce, pm romano, toga di Md, morto d’infarto a gennaio del 1970. Al termine della cerimonia, militanti comunisti e magistrati di Md, fra lo sventolio delle bandiere rosse, decisero di salutare il feretro con il pugno chiuso.

Nel 1972 il segretario generale di Md Generoso Petrella venne eletto in Parlamento nelle liste del Pci. Qualche anno più tardi toccò ad un altro esponente di punta di Md, Luciano Violante, essere eletto, aprendo così la strada delle toghe che dalle aule di giustizia andavano in Parlamento con il Pci-Ds-Pds-Pd.