sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Simona Musco

Il Dubbio, 17 giugno 2023

Il ddl Nordio non incide affatto sulla pubblicabilità delle intercettazioni: a decidere sono sempre i giudici. La riforma sulle intercettazioni? Tante parole e pochi fatti. Eppure, all’indomani dell’approvazione del ddl Nordio in Consiglio dei ministri, la stampa è scesa in campo per gridare ad un nuovo tentativo di bavaglio. Bavaglio che, di fatto, non ci sarà e non c’è mai stato, considerando che tutte le riforme approvate fino ad oggi non hanno impedito la pubblicazione di qualsiasi cosa, in spregio al codice di procedura penale e ad ogni deontologia. Perché sfidare la legge - giusta o sbagliata che sia - in questo caso costa pochissimo: una sanzione minima, che spesso - anzi, la maggior parte delle volte - non viene nemmeno irrogata.

Le cronache di ieri sono piene di voci preoccupate circa le conseguenze di questa riforma, con un dettagliato elenco di notizie “che non avremmo letto”. Come lo scandalo Qatargate - le cui intercettazioni sono state lette dagli stessi indagati prima sui giornali, poi negli atti - o quelle relative all’arresto dei poliziotti accusati di tortura, solo per fare due esempi. Una conclusione affrettata, dal momento che rimane pubblicabile tutto ciò che viene riversato dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso di un processo. E le intercettazioni choc dei poliziotti di Verona, ad esempio, sono contenute nell’ordinanza di custodia cautelare: sui giornali ci sarebbero finite comunque. La norma, ha evidenziato il presidente dell’Unione delle Camere penali Gian Domenico Caiazza a Omnibus, impedisce dunque solo “di andare a ravanare nell’immondizia”, cosa che rimane comunque possibile, per chi volesse farlo, dal momento che chi viola questi divieti dovrà pagare solo 300 euro. “Chi strepita di “bavaglio” - ha commentato ieri sul Riformista - sfida temerariamente il senso del ridicolo”. Le norme, hanno tuonato le testate del gruppo Gedi, esistevano già: la legge Orlando, ad esempio, poi i codici deontologici e quelli delle varie autorità a tutela di privacy e riservatezza. Un appunto preciso, che però ignora il dato di fatto principale: tali norme non hanno mai spaventato nessuno, tant’è che vengono quotidianamente violate. Già all’epoca della legge Orlando si parlò di bavaglio, concetto smentito dalla Cassazione, secondo cui “la peculiare natura delle intercettazioni non divulgabili” ai sensi di quella norma “parrebbe difficilmente riconducibile al canone della rilevanza sociale della notizia che, unitamente alla verità della stessa ed alla continenza espressiva, è tradizionalmente valutato dalla giurisprudenza ai fini del riconoscimento della scriminante del diritto di cronaca”. Queste norme, spiega al Dubbio Beniamino Migliucci, già presidente dell’Ucpi, “non rappresentano alcun bavaglio. Ho sempre sostenuto che il problema non sono i giornalisti, ma chi passa informazioni che non dovrebbero essere pubblicate. C’erano già nel nostro codice delle norme che vietavano la pubblicazione sia di intercettazioni sia di atti che riguardano le parti del processo - sottolinea -. Non si comprende per quali ragioni si dovrebbero pubblicare dialoghi che riguardano estranei al processo, soprattutto se non hanno alcuna attinenza con le indagini, che è quello che poi prevede la riforma. Le intercettazioni sono un mezzo di ricerca della prova, molto invasivo, e devono essere riservate esclusivamente ai reati e non a spiare le pubbliche virtù dei cittadini e dei politici per fare indagini di altro tipo”. Le modifiche previste dal ddl Nordio, in ogni caso, non colgono il tema fondamentale: “Per un mezzo così invasivo sono ancora troppe, dovrebbero essere riservate ai fatti davvero più gravi e anche concesse non come reti di scandaglio per trovare dei reati, ma quando già ci sono degli elementi per cui si deve cercare una prova. E poi bisognerebbe tutelare le conversazioni tra l’assistito e il difensore, spazio che dovrebbe rimanere sacrale e ancora oggi non lo è”, aggiunge Migliucci. Secondo cui le norme vanno nel senso giusto, ma senza incidere troppo, date le modeste sanzioni. “Abbiamo delle norme che tutelano il segreto, che puniscono la rivelazione o utilizzazione di segreti d’ufficio, abbiamo un reticolo di leggi che intendono evitare la pubblicizzazione degli atti del procedimento penale, soprattutto scandendo alcuni momenti processuali - evidenzia -.

L’articolo 114 prevedeva che gli atti del fascicolo del pm non potessero essere pubblicati prima della sentenza di secondo grado, per tutelare la verginità cognitiva del giudice. Se fosse stato applicato ci sarebbe stata una tutela non solo per i terzi estranei, ma anche per le parti del processo. Queste norme, nel tempo, non sono state osservate. Le violazioni sono tantissime, le sanzioni pochissime. Anche se i penalisti mai invocherebbero sanzioni”. In ogni caso, saranno sempre le toghe a gestire la mole di informazioni che verranno rese note. E tutto viene rimesso al controllo del giudice, ultimo filtro a ciò che arriverà in mano al giornalista.

“Bavaglio? Si tratta di una clamorosa esagerazione - spiega un magistrato che preferisce rimanere anonimo -. Siamo ben lontani dal confiscare il diritto all’informazione, perché anche nel progetto Nordio è sempre il giudice il garante dell’equilibrio tra informazione e rispetto della dignità dell’indagato, attraverso il parametro della rilevanza. Che cosa c’è di scandaloso? Forse i miei colleghi dell’Anm dovrebbero spiegare perché hanno così poca fiducia nei magistrati”. Ed il livello di sanzioni è così modesto “che equivale ad un divieto di sosta”. Questa norma, dunque, “non mette minimamente il giudice con le spalle al muro ma lo invita ad esercitare il suo potere con prudenza, sulla base di un criterio di rilevanza che sarà comunque lui a decidere. Per molti versi è solo un principio di civiltà - conclude il magistrato -. Il giornalismo dovrà solo smetterla di essere procurocentrico”.