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di Massimo Gaggi

Corriere della Sera, 11 marzo 2022

Gli economisti di Citi insistono: sapersi difendere è una precondizione per perseguire progressi in altri campi, compresa la tutela del clima.

Inserire le industrie che producono armi nel portafoglio dei fondi specializzati in investimenti per la tutela ambientale? Sembra lo sberleffo di un negazionista del global warming che sfrutta la devastazione della guerra in Ucraina e la crisi energetica che ne deriva per bollare chi è impegnato a promuovere la transizione verso le fonti rinnovabili come un sognatore ingenuo. E invece la proposta, dal tono assai serio, vien dagli analisti di Citi, una delle maggiori banche americane, secondo i quali “difendere i valori liberaldemocratici e creare un deterrente militare capace di preservare la pace e garantire maggiore stabilità internazionale” è un obiettivo perfettamente compatibile con quelli dei fondi Esg (i cosiddetti investimenti responsabili che puntano su imprese la cui azione dovrebbe produrre effetti positivi in campo ambientale, sociale e di governance).

Molti fondi ambientali e attivisti della finanza verde hanno bollato questa ipotesi come assurda, ma gli economisti di Citi insistono: sapersi difendere è una precondizione per perseguire progressi in altri campi, compresa la tutela del clima. Che si trovi o meno ragionevole un simile argomento, il caso è solo la punta dell’iceberg di cambi di prospettiva indotti in pochi giorni dalla guerra: gli obiettivi di abbandono di gas e petrolio discussi solo quattro mesi fa alla conferenza Cop 26 di Glasgow ora appaiono troppo affrettati. I consumi di carbone, che va messo al bando al più presto, cresceranno invece a dismisura con l’Asia impegnata a costruire decine di nuove centrali che usano la fonte più inquinante.

E la decisione di Biden di bloccare il completamento del gasdotto Keystone XL che avrebbe dovuto portare petrolio canadese negli Stati Uniti ora è criticata anche da molti democratici. La prospettiva potrebbe cambiare anche sulle armi, soprattutto in Europa dove l’introduzione di criteri Esg nelle scelte d’investimento di molte banche aveva portato questi istituti a eliminare dal loro portafoglio azioni di gruppi che producono sistemi per la difesa: in Svezia la Seb, la maggiore banca scandinava, ha appena capovolto la sua politica in questo campo. Dal primo aprile tornerà a investire in aziende della difesa, eliminate dal portafoglio un anno fa. E in Germania Rheinmetall, abbandonata dalle sue banche di riferimento, sta per essere “riabilitata”.