di don Maurizio Patriciello
Avvenire, 26 ottobre 2024
“Scarcerati per decorrenza dei termini”, parole che non vorremmo più sentire. Non si possono sentire, suscitano rabbia, scoraggiamento. Invitano al pressapochismo, al menefreghismo, al tirare i remi in barca, perché “tanto è tutto inutile”. Non è possibile che nel giro di pochi giorni, in Sicilia, boss mafiosi rinchiusi fino al giorno prima al 41 bis, vengano rimessi in libertà per scadenza della carcerazione preventiva. Non è neppure lontanamente pensabile che chi ha obbedito alla propria coscienza e - con timore e tremore - si è deciso a denunciare, pur sapendo i rischi che corre, e correrà in futuro, si ritrovi a passeggiare per il corso del paese avendo dietro di sé l’uomo che potrebbe ucciderlo.
Non è pensabile educare i nostri giovani alla legalità, quando la stessa giustizia non appare ai loro occhi capace di garantire incolumità e sicurezza. Perché una società inizi a funzionare bene, occorre che le regole siano rispettate. Da tutti. Mercoledì scorso, in un paese del Cilento, nel Salernitano, ci siamo ritrovati in tanti - vescovo della diocesi, parroci, insegnanti, sindaci, carabinieri - a dialogare con tanti studenti di diversi comuni, di legalità, lotta alla camorra, impegno civile. I ragazzi pendevano dalle nostre labbra, intervenivano, facevano domande.
Erano e sono fortemente interessati. Hanno bisogno di testimoni credibili. Vogliono certezze. Bisogna convincerli che essere onesti “conviene”. Al di là di ogni altra motivazione morale, conviene. Per tanti motivi, conviene, non ultimo perché il carcere - in particolare il 41 bis - è una brutta bestia. L’unica bestia capace di impaurire e far fare un passo indietro ai mafiosi ammaliati dal danaro e dal potere.
L’ho detto e ripetuto tante volte, una delle espressioni più orribili che ho dovuto, mio malgrado, ascoltare - e che mai più vorrei che fosse pronunciata - è stata quella di alcuni amici testimoni, o anche collaboratori, di Giustizia che per avere reso allo Stato un servizio, si ritrovano, non poche volte, a dover fare i conti con una burocrazia farraginosa che mette a dura prova la loro pazienza e che fa dire loro: “Se potessi tornare indietro, non lo rifarei”.
Il problema esiste. I detenuti hanno i loro diritti che vanno rispettati, e su questo non ci piove. Ma anche i cittadini onesti che hanno pagato e pagano per le malefatte dei mafiosi hanno i loro sacrosanti diritti. Senza contare gli uomini delle forze dell’ordine ai quali viene chiesto di dare la vita pur di acciuffare i delinquenti. Cosa che fanno. Pronti come siamo a ingigantire un reato commesso da qualche mela marcia che sempre riesce a intrufolarsi tra le pieghe di qualsiasi organismo sano, non sempre sappiamo dire grazie per le tante operazione che essi, quotidianamente, mettono in campo con successo.
Deve essere deprimente anche per loro, oltre che per ogni cittadino di buona volontà, assistere impotenti alla scarcerazione dei detenuti, per decorrenza dei termini, che, tradotto, sta a significare che Tizio viene rimesso in libertà non perché ritenuto innocente, e quindi incapace di colpire ancora, ma solamente perché la nostra bella Italia che amiamo e che tentiamo di servire, non è stata capace di fare il proprio dovere. Un vero tallone di Achille. Un punto, questo, talmente debole da risultare pericolosissimo. Corriamo ai ripari, tutti insieme, destra, centro, sinistra, giustizialisti e garantisti.
Se a un mafioso - acciuffato con tanta fatica, sudore, indagini, spreco di danaro pubblico, e mettendo a rischio la vita di tanti nostri fratelli e sorelle - per legge, viene ridata la libertà, occorre che qualcuno si chieda, con grande serietà, che cosa quest’uomo non amante della legalità, non amante della solidarietà, non avvezzo all’onestà, né al rispetto per le regole e per la vita altrui, bisogna pur chiedersi, dicevo, che cosa mai potrà combinare nel tempo della tanto agognata e ritrovata libertà. Occorre smetterla di difendere i diritti a senso unico.
In una comunità, per forza di cose, tanti diritti confliggono. È questione di priorità. Gli onesti, i lavoratori, coloro che non pesano sulle casse dello Stato, ma che, al contrario, nell’anonimato del proprio quotidiano, fanno il loro dovere, educano i figli, pagano le tasse, osservano le regole, costoro e non altri, hanno la precedenza. Essi rappresentano l’ossatura di qualunque società.
Persone su cui contare. Conviene allo Stato non scoraggiarli. Se a troppi detenuti vengono spalancate le porte del carcere per decorrenza dei termini, vuol dire che bisogna incrementare le fila dei magistrati, rafforzare le procure e i tribunali, oleare meglio la macchina della giustizia. Una giustizia ingiusta è un orribile ossimoro.