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di Liana Milella e Giuseppe Colombo

La Repubblica, 19 settembre 2023

Due emendamenti al decreto Asset replicano il tentativo già fallito a marzo e ampliano da uno a due anni il termine per rientrare in ruolo e concorrere ad incarichi di vertice negli uffici. Due emendamenti nel decreto Asset a palazzo Madama per aggirare la legge Cartabia del giugno 2022 sulle toghe in politica. Con l’obiettivo di avvantaggiare i capi di gabinetto, i loro vice, e i magistrati che lavorano nei ministeri del governo Meloni con incarichi di vertice. Ci avevano già provato, a fine marzo, Lega e Fratelli d’Italia. Ma non erano riusciti a superare l’ammissibilità, perché Repubblica l’aveva scoperto.

A fermarli era stata una puntuta interrogazione del responsabile Giustizia di Azione Enrico Costa al Guardasigilli Carlo Nordio, nonché un altolà di Giulia Bongiorno, responsabile Giustizia della Lega, che li aveva bollati come “non autorizzati”. Adesso la Lega insiste di nuovo e ci riprova, ma cambia partner, con lei c’è Forza Italia, mentre FdI si defila. La proposta è simile. Con la scusa del Pnrr le toghe che hanno incarichi di vertice potranno restare in servizio non un solo anno ma due e avere comunque la possibilità di rientrare a pieno titolo in magistratura e assumere soprattutto gli incarichi di capo di un ufficio. Proprio quello che la legge Cartabia, già nel ddl del suo predecessore Alfonso Bonafede, riteneva inammissibile.

A marzo era stata battezzata norma Rizzo, da Alberto Rizzo, il capo di gabinetto del Guardasigilli Carlo Nordio che con la sua vice, l’ex deputata forzista nonché toga in politica Giusi Bartolozzi, erano tra i possibili fruitori della proposta che aveva lo stesso obiettivo di quella di oggi, ma ancora più contorta (decorrenza dell’incarico trenta giorni dopo l’affidamento nel novembre dell’anno scorso). Accanto ai loro nomi, ecco quelli di altri possibili fruitori “imputati”, a partire dal capo di gabinetto di Matteo Salvini alle Infrastrutture, il magistrato del Tar Alfredo Storto, che già era al vertice dell’ufficio legislativo con l’ex ministro Danilo Toninelli. Nonché Massimiliano Atelli, ex procuratore regionale della Corte dei conti, e capo di gabinetto del ministro dello Sport Andrea Abodi. E ancora Erika Guerri, anche lei ex della Corte dei conti, stesso ruolo di Atelli al Turismo con Daniela Santanché. Ma la lista potrebbe essere identica all’elenco dei ministeri che gestiscono fondi del Pnrr, in pratica tutti.

I due emendamenti sono identici. Poche righe in tutto. A firmare il primo è l’ex sindaco di Brescia e senatore di Forza Italia Adriano Paroli. Mentre il secondo è sottoscritto da ben cinque senatori del Carroccio. Nell’ordine Tilde Minasi, Antonino Salvatore Germanà, Manfredi Potenti, Mara Bizzotto e Gianluca Cantalamessa. Recita il testo: “Al fine di consentire la continuità nella gestione delle attività amministrative connesse all’attuazione del Pnrr, fino al 31 agosto 2026, il termine di un anno della legge Cartabia è modificato in due anni in relazione agli incarichi assunti presso amministrazioni titolari di interventi previsti nel Pnrr”.

Un caposaldo della legge Cartabia, peraltro molto criticato dalla stessa Anm, salta. Se la Cartabia bloccava le “porte girevoli” tra magistratura e politica, anche per i sottosegretari “togati”, per cui chi assumeva ruoli nel governo o nei ministeri subiva il divieto di rientrare in ruolo e di assumere incarichi direttivi per ulteriori 3 anni, con il blitz Lega-Fi, fino al 2026 potrà tornare in magistratura e avere anche un incarico direttivo. Il giurista della Statale di Milano Gian Luigi Gatta, che è stato consigliere giuridico di Cartabia, legge l’emendamento e chiosa: “Basta che l’incarico governativo duri un anno, 11 mesi e 30 giorni e la toga potrà correre anche per fare il procuratore di una grande città”. Dopo fiumi di inchiostro contro le toghe in politica ecco come si può aggirare una legge in quattro righe.