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di Andrea Galli

Corriere della Sera, 10 dicembre 2023

Emergenza nuovi poveri. Crescono gli italiani che vivono per strada: dopo la pandemia sono rimasti senza casa e lavoro. Qui intorno, da piazza San Babila a via Hoepli, sembrano litigare tutti quanti, si vede gente bisticciare nella hall d’un hotel di lusso, altri che si urlano in faccia al tavolo del ristorante, e perfino guardando in su non serve indugiare sulle ampie finestre degli assai luminosi appartamenti per scorgere, nella mimica di quelli che ci abitano, momenti di non pacifica conversazione. Sarà una serata storta, e comunque, problemi loro restano. O forse no. Passa un gruppo di ragazze, una sibila “tossica fai pena” a una donna che dorme per terra, sul pavimento, sotto i portici, dentro una casa costituita da una grande scatola di cartone dispiegata a formare quattro basse mura.

Sibila così, se la ride, fila via. Gli abitanti di strada hanno sempre storie vere ed estreme, e non hanno, di solito, giacendo al gelo ed essendo il sonno una sfida alla sopravvivenza, tempo né voglia di raccontar balle. Che gli viene in tasca? Sicché, dopo aver incrociato, su un altro versante, ovvero dalla Galleria al Duomo e poi lungo corso Vittorio Emanuele insieme camminando per via Agnello come via San Paolo, parecchi africani del Sahel, reduci dalle traversate prima del deserto quindi del mar Mediterraneo, i quali, spesso ubriachi, a volte assenti da se stessi, s’affidano a una narrazione di tormenti e fantasmi, di vane richieste d’asilo e di ordini d’espulsione disattesi, dicevamo, dopo aver incrociato costoro eccoci alla casa di cartone e alla sua occupante. In realtà sono due, l’altro è il suo compagno, perso sotto un doppio strato di coperte. Ascoltiamo questo racconto della Milano reale, antitetica all’ormai noiosa filosofia da brochure d’una città meravigliosa senza problemi, un prodotto da vendere ai turisti, ai palazzinari, agli investitori arabi.

“Io ho 45 anni e lui, il mio uomo, 52. Siamo italiani, il che è un casino: loro, gli africani, credono di essere gli unici a poter dormire per terra, provano a rubarti di tutto mentre dormi, infatti le cose preziose, tipo i centesimi e gli assorbenti, me le porto con me nel sacco a pelo. Veniamo dal Veneto, capita che ci torno per lavorare come donna delle pulizie, 6 euro l’ora, in nero, ovvio, ma chi se ne frega, non è una questione importante. Niente casa, con la pandemia e i mesi dopo sono successe un po’ di cose, intanto il mio uomo ha perso il lavoro, stava in una caffetteria importante ma il capo aveva, o avrà ancora, cavoli suoi, il vizio della cocaina, si è riempito di debiti, gli hanno portato via il locale, e i dipendenti sono stati spediti a casa. Il mio uomo stava nella casa della mamma, qui a Milano, una bella casa, ma sua madre non ne vuole sapere di avercelo intorno, l’ha cacciato anche lei come lo aveva cacciato in precedenza il proprietario del bar; a un certo punto finisci anche di mandare in giro curriculum, lascia perdere, a ‘sta età manco ti ricevono per il colloquio, oppure, sapendo benissimo che hai un bisogno disperato, ti offrono già al telefono condizioni di sfruttamento peggiori di quelle degli africani... Al diavolo. Oh, comunque, prima mi sono arrabbiata con quella che mi ha gridato “tossica”, dimmi di tutto, ma “tossica” no” ripete coprendo con la mano la bocca sdentata.

Nell’annotare che in concomitanza con un generale aumento delle presenze si registra altresì l’aumento anche dei volontari, inquadrati in associazioni oppure, non di rado, itineranti in gruppi di amici che decidono di muoversi da soli distribuendo cibo, coperte e medicinali, resta, confermata da altri senzatetto, la casistica d’un calo della, chiamiamola così, classica solidarietà di strada. Un tempo ci si aiutava mentre ora, appena possibile, l’attitudine è quella anticipata dalla donna: depredare il prossimo tuo simile. Ovvio l’elenco dei beni ambìti a cominciare dalle calze di lana grossa e dalle scarpe meglio se di montagna poiché vale come eterno il principio esistenziale dei clochard per cui, se inizia a prenderti i piedi, in breve il freddo conquista il resto del corpo, e va da sé che negli ultimi giorni i gradi han preso a scendere di parecchio tanto che, pure a tarda ora rispetto alle canoniche fasce temporali delle operazioni di sdraiarsi sotto le coperte, tra le 21 e le 22, si sconfina oltre vagando alla ricerca di punti meno gelidi. In alternativa, si sceglie di tirare l’alba e buonanotte. Almeno si evitano i vigili. Dice la donna: “La polizia locale arriva alle sette del mattino, ordina di tirarti su, i vigili non vogliono la gente sdraiata sul pavimento, ti devi mettere in piedi e iniziare la giornata, che è pure peggio della notte, devi girare, mettere qualcosa nello stomaco, trovare un bar che non ti bestemmi dietro se chiedi di usare il cesso per lavarti faccia, ascelle, parti intime”.