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di Luigi Manconi

La Stampa, 1 giugno 2022

Chiunque si trovi in galera ha il diritto umano di pensarsi e dirsi innocente. Perché vittima di un errore giudiziario o di una persecuzione politica; più spesso, perché convinto che le giustificazioni e le attenuanti, di natura sociale o culturale, siano più rilevanti delle proprie responsabilità soggettive; o perché persuaso, infine, che le colpe del mondo o della società, dei governanti o dei nemici personali finiscano per mandarlo assolto.

Ma c’è una categoria di detenuti la cui incolpevolezza non consente fraintendimenti o deroghe. Sono gli “innocenti assoluti”. Ovvero i bambini galeotti, da zero a tre anni (talvolta fino a sei), che vivono in carcere unitamente alle proprie madri che scontano una pena.

Negli ultimi vent’anni sono stati centinaia e centinaia: e non è difficile immaginare quali effetti abbiano prodotto su di loro quei processi di “deprivazione sensoriale” che la psichiatria attribuisce alla permanenza in una condizione coatta e in un ambiente chiuso. E che incide in profondità su tutti i sensi, alterandoli e deformandoli.

Si tratta di minori che nella prima fase di vita non conoscono altro orizzonte se non quello tracciato dalle sbarre e dal muro di cinta; il cui udito è modificato dall’immanenza di rumori che nulla hanno di naturale, e che sono quelli del ferro e dell’acciaio che scandiscono l’esistenza quotidiana; il cui olfatto è inquinato dall’odore di prigione, un lezzo acido fatto di rancido e di greve.

Perché questi “innocenti assoluti” (attualmente 20) sono tuttora prigionieri? Perché il nostro sistema penale non ha trovato una soluzione sicura e intelligente per far sì che un certo numero di donne potesse espiare la propria pena senza per ciò stesso imporre ai figli quel brutale trattamento.

I tentativi fatti finora, nel corso di due decenni, si sono rivelati inutili se non controproducenti: per inettitudine amministrativa, eccessivo e immotivato rigorismo di una parte della magistratura e incongruenze normative. Ora c’è una novità importante. Due giorni fa la Camera dei Deputati ha approvato un progetto di legge che introduce modifiche assai significative.

In sintesi: viene esclusa l’ammissibilità della custodia cautelare in carcere per le madri con figli di età inferiore ai sei anni, salva la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. In tal caso, il giudice può disporre la misura restrittiva solo negli istituti a custodia attenuata (Icam): misura revocabile in caso di evasione o di condotte socialmente pericolose. Viene ammessa la custodia in carcere dell’imputato unico genitore di una persona con disabilità acuta solo in presenza di esigenze cautelari di eccezionale gravità. Viene ampliata, inoltre, l’applicabilità del rinvio dell’esecuzione della pena al padre di minori sotto l’anno di vita (se la madre sia deceduta o comunque impossibilitata ad assistere la prole) e alla madre (o al padre) di minore di tre anni con disabilità grave. Infine, viene imposto al ministro della Giustizia di stipulare con gli enti locali convenzioni per l’individuazione di strutture da adibire a case-famiglia protette, e l’adozione di misure per il successivo reinserimento sociale delle donne condannate. Una misura, quest’ultima, che può contare, peraltro, su fondi già presenti nel bilancio, e il cui riparto tra le regioni è stato definito dalla ministra Cartabia con un decreto dello scorso settembre.

Certamente un passo avanti, ottenuto grazie alla determinazione di due parlamentari, Paolo Siani e Walter Verini, e - fatto notevole - al voto pressoché unanime della Camera. Ora il provvedimento, perché sia definitivo, deve passare al Senato. E allora la destra italiana avrà l’occasione di dimostrare la propria tempra: Giorgia Meloni, attentissima alla propria immagine e all’idea di un conservatorismo che non si manifesti solo come rivalsa sociale, sarà in grado di indirizzare il voto del suo partito verso questa scelta di civiltà? E la Lega, attualmente impegnata in una campagna referendaria per una “giustizia giusta”, deciderà di votare a favore di una normativa che elimina la più abietta delle ingiustizie?

Mi auguro di sì, perché sottrarre i bambini galeotti alla loro galera non è solo il più elementare dei gesti di umanità oggi alla portata di ciascun parlamentare. Può essere anche un atto intensamente simbolico, in quanto teso a intaccare quella macchina insensata - ridotta a un ferrovecchio inutile e dannoso - che è il nostro irrazionale sistema penitenziario.