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di Gennaro Grimolizzi

Il Dubbio, 11 agosto 2023

Ha formato generazioni di avvocati, notai e magistrati I suoi “Appunti” dedicati “Allo Stato dei diritti”. Ha suscitato grande commozione la scomparsa di Marcello Gallo. Il giurista aveva 99 anni (nacque a Roma nel 1924) ed è stato ordinario di diritto penale nelle Università di Urbino, Torino e Roma “La Sapienza”. È stato anche Accademico dei Lincei e all’impegno universitario affiancò quello in politica: fu eletto senatore della Democrazia Cristiana nel 1983 per poi essere riconfermato nel 1987. Prima di approdare in Parlamento, negli anni Sessanta, ricoprì la carica di assessore comunale a Torino, sua città di adozione. Il professor Gallo fu allievo di Francesco Antolisei, autore di uno dei più importanti manuali di diritto penale. L’insigne penalista, scomparso pochi giorni fa, fu relatore della tesi del leader del Partito Radicale Marco Pannella, laureatosi ad Urbino nel 1953.

Tra gli scritti di Marcello Gallo sono ancora attuali gli “Appunti di Diritto penale”, pubblicati in varie edizioni da Giappichelli editore. Nel primo volume, dedicato alla legge penale, l’autore fa una premessa molto interessante che si ricollega direttamente al titolo della pubblicazione. Gli “Appunti” di diritto penale e sul diritto penale avevano - e hanno - un carattere di supporto ai manuali.

Gallo attribuisce alle parole un valore fondamentale. Non può essere diversamente per un giurista e per chi ha formato generazioni di avvocati, notai e magistrati. “Le parole - scrive il “professore dei professori”, come veniva affettuosamente chiamato - hanno il loro posto in frasi, testi e situazioni. Liberiamo la parola dal suo isolamento, poniamola nella concatenazione del suo contesto, ed insieme a questo in una situazione di vita vissuta. È così che si presentano normalmente le parole. Altrimenti non si comprende cos’è una parola e come funziona il suo significato”. A questo punto una precisazione, degna dello studioso della scienza penalistica: “La frase è il ponte tra il significato e l’intendimento. Assieme all’ulteriore contesto e alla situazione inerente, la frase limita il significato (ampio, vago, sociale, astratto) in funzione dell’intendimento (circoscritto, preciso, ordinariamente individuale e concreto)”.

I lettori più attenti possono notare che negli “Appunti” spicca la seguente dedica: “Allo Stato dei diritti”. L’uso del plurale non è casuale, come spiega lo stesso autore, perché “è nello Stato dei diritti che la nostra attesa di determinazione viene maggiormente appagata”. Con una precisazione che, seppur inserita tra le note - la prima del volume -, assume lo stesso un carattere fondamentale alla stregua del resto del testo. “Preferisco parlare - spiega Gallo - di Stato dei diritti anziché, come si usa, di Stato di diritto. Questa è formula che è sorta, e vieppiù si è sviluppata nel tempo, caricata di buone intenzioni. Il significato che le si attribuisce, però, è condivisibile solo da chi dà alla parola diritto un valore superiore a quello della mera positività. Dal punto di vista dell’effettuale, ogni Stato, cioè gli ordinamenti la cui norma base non riposi su altra appartenente ad un sistema di rango superiore, è Stato di diritto: perfino il più embrionale o tirannico. Certo, mi rendo conto che anche Stato di diritti rinvia all’assetto normativo che tali diritti assicura. C’è, però, il grande vantaggio di individualizzare le prescrizioni normative: mettendo in evidenza la posizione di soggetti titolari di facoltà o aspettative. C’è, insomma, l’espressione di un momento di garanzia che serve a definire in senso penalistico un ordinamento, uno Stato”. Sin qui, seppur brevemente, abbiamo preso in considerazione una piccolissima parte dell’opera dell’accademico romano-torinese.

Nella comunità accademica in tanti ricordano gli insegnamenti di Gallo. Tra questi Nicola Triggiani, ordinario di Diritto processuale penale nell’Università di Bari “Aldo Moro”. “Ho incontrato - dice al Dubbio - il professor Marcello Gallo una sola volta, molti anni fa, in occasione di un convegno all’Università di Bari. Fu per me davvero una grande emozione conoscerlo personalmente, perché la sua fama lo precedeva e mi aveva parlato molto di lui, sempre con grande entusiasmo e commossa devozione, il professor Aldo Regina, ordinario di Diritto penale nell’Ateneo barese e suo allievo. A confermare il tributo che intere generazioni di penalisti devono all’insigne giurista, torinese d’adozione, basterebbe ricordare proprio la dedica che il professor Regina ha inserito in un suo recente lavoro intitolato “Memorie per la toga”: “Al mio Maestro - Marcello Gallo - al quale devo tutto ciò che so di diritto penale”.

Passione per lo studio, ma anche per la toga. Gallo si è recato in udienza fino a qualche anno fa, nonostante le precarie condizioni di salute. “L’eredità scientifica e culturale di Gallo - commenta il professor Triggiani - è immensa e colpisce anche il valore della sua testimonianza umana: la perdita della vista negli ultimi 25- 30 anni della sua vita e l’avanzare dell’età non gli hanno assolutamente impedito di continuare instancabilmente i suoi studi, di elaborare progetti, di restare, con la sua dirittura morale, onestà intellettuale e professionalità, un punto di riferimento imprescindibile per l’accademia e l’avvocatura. I suoi studi monografici, tra i quali spiccano, in particolare, quelli sul dolo e sul concorso di persone nel reato, restano dei contributi fondamentali della scienza penalistica e il tempo trascorso dalla loro pubblicazione non toglie nulla alla validità della costruzione dogmatica. Ancora di recente aveva ripubblicato una nuova edizione dei suoi celebri “Appunti” e, da ultimo, aveva dato alle stampe il volume “Le formule assolutorie di merito- Art. 530 c. p. p.”.

L’insigne penalista è stato pure un uomo delle istituzioni, come evidenzia Nicola Triggiani. “Il nome di Gallo - aggiunge - resta legato anche al vigente codice di procedura penale, avendo presieduto, da senatore della Democrazia Cristiana, la Commissione bicamerale per il parere al Governo sulle norme delegate relative al nuovo codice di rito, consentendo così, dopo questo vaglio di conformità ai princìpi della legge-delega, il varo definitivo del provvedimento, entrato in vigore il 24 ottobre 1989.

E, come ricorda lo stesso Gallo in un articolo del 2019, scritto per celebrare i trent’anni di vigenza del codice (“Romanzo di un codice”), la Commissione parlamentare da lui presieduta affrontò l’impegno sempre in stretta collaborazione con i componenti della Commissione ministeriale presieduta dal professor Giandomenico Pisapia. Gli intendimenti, le motivazioni, il modello vagheggiato erano, infatti, comuni ad entrambi i gruppi: l’”obiettivo era inverare, nel concreto della prassi giudiziaria penale, i grandi principi della Carta costituzionale”.

Il professor Triggiani è certo che il pensiero del compianto Accademico dei Lincei troverà sempre terreno fertile: “Da studioso del processo penale, mi piace concludere questa breve riflessione sull’opera del Maestro con un suo attualissimo monito: “Poiché un codice di procedura è essenzialmente stipulazione di un modus operandi, l’operatività abbisogna di una regolamentazione precisa, scarsa di angolature e frammentazioni. Le eccezioni, inevitabili, dovrebbero essere poche e tutte dichiarate con la maggiore evidenza”.