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di Alessandro Fioroni

Il Dubbio, 10 agosto 2023

La donna coordinava il movimento di protesta contro il falso esito delle elezioni, arrestata nel 2020 e condannata a 11 anni, da 7 mesi di lei non si hanno più notizie. Secondo Alexander Lukashenko, autoritario e longevo presidente della Bielorussia, nel paese non ci sono prigionieri politici, perché non esiste un articolo del genere nel codice penale. Un eufemismo e una derisione della lotta condotta da migliaia di cittadini bielorussi che due anni fa sono scesi nelle strade per protestare contro la rielezione di Lukashenko, una vittoria macchiata da brogli e dalla repressione di qualsiasi dissenso.

Le sarcastiche affermazioni del presidente, stretto alleato di Vladimir Putin, sono facilmente contraddette dall’organizzazione che difende i diritti umani, Vesna. Per l’ong nelle prigioni bielorusse languono attualmente 1500 persone arrestate per le loro azioni o opinioni politiche per lo più espresse in maniera pacifica.

Gli arresti continuano a essere la norma anche oggi, un’onda lunga repressiva che fa sentire ancora i suoi pesanti effetti. Il regime di Lukashenko però deve affrontare un malcontento e un’opposizione persistente che sebbene colpita dalle incarcerazioni continua in varie forme a far sentire la sua voce. Ora viene messa in atto una strategia per fiaccare la resistenza applicando in maniera massiccia lo strumento dell’isolamento. I prigionieri vengono nascosti, spariscono per mesi dietro le sbarre e neanche le famiglie riescono a ricevere notizie.

È il caso di Maria Kolesnikova che nel 2020 è stata condannata a 11 anni di reclusione con l’accusa di estremismo e tentativo di rovesciare il potere di Lukashenko. La donna faceva parte del trio tutto al femminile composto anche da Svetlana Tikhanovskaja e Veronika Zepkalo, che di fatto rappresentava e coordinava il movimento di protesta contro il falso esito delle elezioni presidenziali. Maria Kolesnikova è finita in carcere in seguito agli arresti di massa che sono stati pubblicamente documentati ma categoricamente negati dai funzionari del governo.

Flautista 39enne, direttrice di un centro culturale a Minsk, nota dal punto di vista estetico (riconoscibile per il suo taglio corto di capelli completamente tinti di bianco e lo smagliante sorriso esaltato da un rossetto rosso vivo) ma soprattutto per la determinazione e la forza d’animo dimostrata. A differenza delle sue compagne infatti non è riparata all’estero. Inizialmente era stata condannata all’esilio, ma al momento di essere espulsa ha strappato il passaporto.

A fornire le scarne notizie che giungono dalla Bielorussia riguardanti Maria Kolesnikova è solo sua sorella Tatsiana che ha ricevuto una cartolina dal carcere l’ultima volta lo scorso 2 febbraio. Nella lettera Kolesnikova aveva usato un tono confidenziale e scherzoso ma da allora, quasi 7 mesi, non è giunta piu nessuna sua notizia. Evidentemente è tenuta in totale isolamento in carcere senza possibilità di telefonare o scrivere. Negate anche le visite di parenti e del suo avvocato.

Un trattamento inumano che può essere assimilato ad una vera e propria tortura, la stessa che stanno subendo altre due figure chiave dell’opposizione. Sergei Tikhanovsky e Viktor Babaryko, scomparsi nel sistema carcerario e gravati da lunghe pene detentive. La loro colpa quella di aver tentato nel 2020 di candidarsi contro l’autoritario Alexander Lukashenko alla presidenza, la reazione del regime è stata l’arresto immediato.

Qualche altra notizia su ciò che i prigionieri subiscono in carcere è riportata da chi è stato rilasciato. Gli attivisti tornati in libertà parlano di un isolamento feroce e di essere costretti a dormire spesso sul pavimento della cella. Sempre secondo l’organizzazione Vesna almeno 3 prigionieri sono morti in carcere senza che nessuno abbia potuto vederli, tra loro l’artista Ales Pushkin deceduto recentemente mentre si trovava in custodia giudiziaria senza che ancora sia stata resa nota la causa ufficiale della morte. Il sospetto, suffragato da testimonianze miracolosamente arrivate all’estero, è che avesse perso molto peso forse a causa di denutrizione o per un rifiuto del cibo.

In molti e molte sono stati costretti a fuggire all’estero perché la repressione si mantiene costante, al momento non sembra esistere un luogo veramente sicuro dove nascondersi. Alcuni racconti rilasciati dagli espatriati, soprattutto in Polonia e Lituania, dicono che viene preso di mira qualsiasi luogo comprese le case famiglia per donne. Basta poco per incappare nelle strette maglie della polizia, sufficiente una foto di una manifestazione, magari trovata sul telefono di un arrestato, per essere a propria volta perseguiti. A quel punto non rimane altro che contattare le reti clandestine che aiutano a lasciare di nascosto la Bielorussia.

Il silenzio calato sui detenuti politici dunque è pesantissimo, chiaramente la televisione di stato non accenna minimamente né a proteste né a incarcerazioni. La Bielorussia è una gabbia di cemento dalla quale non esce che una debole voce che si tenta di propagare in qualsiasi modo. In questo senso i social aiutano, su alcune piattaforme non è raro vedere i fuoriusciti che usano l’arma dell’ironia deridendo Lukashenko, un mezzo forse non sufficiente ma tra i pochi ancora a disposizione.