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di Simone Canettieri

Il Foglio, 11 luglio 2023

Il Quirinale per ora non interviene sullo scontro fra il governo e la magistratura. La premier potrebbe salire al Colle nel fine settimana con la scusa del vertice Nato. E intanto il ddl Nordio attende l’ok del Colle. L’occasione è vicina. Già alla fine di questa settimana, una volta tornata in Italia, Giorgia Meloni potrebbe salire al Colle per informare il capo dello stato sulle decisioni del vertice Nato a Vilnius. Un incontro di prassi - tra la presidente del Consiglio e il capo del Consiglio supremo di difesa dopo un appuntamento così importante - che rischia di virare più che sull’Ucraina, sulla guerra ingaggiata dal governo contro la magistratura (a leggere le veline di Palazzo Chigi sarebbe il contrario). Ecco perché il faccia a faccia è ancora in sospeso, pronto a essere sostituito, magari, da una discreta telefonata da far trapelare, ma anche no.

Tutto dipende da come Meloni intenderà gestire i casi giudiziari che stanno scuotendo la sua maggioranza, e in particolare i big del suo partito. Storie diversissime fra loro che messe in fila alimentano il clima di sospetti, complotti e accerchiamento che si respira nelle stanze del governo: Daniela Santanchè e i suoi guai societari (avrebbe violato anche il codice etico di FdI continuando a controllare comunque il Twiga di cui diceva di aver venduto le quote una volta diventata ministra del Turismo), Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia, che davanti all’imputazione coatta del gip è pronto a sfidare i giudici e l’Anm (“non so nemmeno cosa significhi questo acronimo”, dice agli amici di FdI) e infine Ignazio La Russa, presidente del Senato apparso sgraziato nella difesa d’ufficio del figlio, accusato di stupro. Dalle parti del Quirinale per ora, nonostante le sollecitazioni che giungono dall’opposizione sponda Pd, non sono previsti interventi di moral suasion per “abbassare i toni”. Non sarebbe male, se arrivassero prima parole distensive da parte di Meloni.

Fino a domenica la linea dettata ai fedelissimi è stata quella di non alimentare lo scontro, dopo le parole incendiarie dei giorni prima, con la magistratura. Per qualche ora era baluginata anche l’ipotesi di un intervento da Riga, ieri, per rimarcare il reciproco rispetto dei ruoli e della divisione dei poteri. Ma poi alla fine, dopo il bilaterale con il primo ministro lettone Krisjanis Karins, la comunicazione del governo italiano ha deciso di procedere con normali dichiarazioni senza domande degli inviati.

Meloni ha preferito tirare dritta sui casi giudiziari che la tormentano (a cui ieri si sono aggiunte anche le parole del ministro dello Sport Andrea Abodi sulle “ostentazioni” del calciatore gay Jakub Jankto e sulla sortita à la Facci di Filippo Facci, amico di vecchia data della premier). “Adesso sono in ritardo. Alla fine del vertice Nato facciamo un punto stampa su tutto quanto”, ha aggiunto la leader mentre lasciava il palazzo del governo lettone per dirigersi verso la base militare ad Adazi.

Intanto, come in un gioco dell’oca ormai consolidato, tutto si ferma e cade sulla casella del Quirinale, invocato e strattonato dalle opposizioni, in maniera più o meno plateale. Tuttavia come Sergio Mattarella ha dato a vedere finora l’automatismo non funziona. Anzi. Al massimo si pesano i silenzi, ma è un esercizio stilistico da retroscenisti. E dunque sulla giustizia, che è il vero possibile cortocircuito, si cercano dei punti di contatto fra Palazzo Chigi e il Quirinale.

A svuotare le trincee ci sta pensando il sottosegretario ed ex magistrato Alfredo Mantovano. Per quanto riguarda le critiche dell’Anm si cerca di far passare che non tutti i magistrati la pensano come Giuseppe Santalucia. Tentativi arronzati e diplomazie al lavoro. Il tutto in attesa certo che la premier faccia una mossa. Anche perché nel frattempo il Colle deve ancora dare il via libera alle Camere alla discussione sul ddl Nordio sulla giustizia, licenziato dal governo lo scorso 15 giugno. Non si tratta di firmare un decreto, ma di trasmettere il testo del disegno di legge al Parlamento che poi dovrà approvare, emendare e comunque discutere l’impianto di norme presento dal Guardasigilli. Ci vorrà qualche giorno tecnico per sbloccare la pratica. “Ma nessuna enfasi”, spiegano dalle parti di Sergio Mattarella a cui c’è un pezzo di politica che, in queste ore, fa arrivare la richiesta di un forte interventismo mediatico. Dimenticandosi forse dello stile della casa. Ecco perché la fisarmonica di Mattarella per il momento non espanderà i suoi poteri. Nemmeno sul caso Santanchè la cui presenza nel governo rimane, finché è lontana da una condanna, una questione di opportunità per chi l’ha proposta. E cioè Meloni. Stesso discorso per Delmastro.

Figurarsi poi le dichiarazioni di La Russa sulla ragazza che dice di aver subito una violenza sessuale dal di lui figlio. Mattarella presidia il perimetro della Costituzione e ha, questo sì, le sue idee. Che magari dirà alla premier, di persona, nel fine settimana o nel corso di una telefonata. Nel frattempo gli alleati Antonio Tajani e Matteo Salvini, seppur con fini diversi, dicono alla premier di abbassare i toni contro i pm. E il partito rimane in fibrillazione: a Piazza Italia, festa romana di FdI iniziata ieri, sono previsti tutti i big meloniani, eccetto il terzetto finito nella bufera. Il buio oltre la siepe, l’imbarazzo dietro ai forfait.