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di Fulvia Caprara

La Stampa, 25 giugno 2023

Il regista e il nuovo film “Io capitano”, storia del viaggio tragico di due ragazzi dall’Africa. Una luce negli occhi, quasi infantile, un sorriso largo, accogliente, una timidezza congenita che lo ha accompagnato fin dagli inizi trasformandolo in uno degli autori più segreti e laconici del panorama internazionale. Eppure, stavolta, Matteo Garrone, ospite d’onore del Filming Italy Sardegna Festival diretto da Tiziana Rocca, smentisce la sua fama, parla di tutto, il cinema, l’ispirazione, il modo per rilanciare le sale in crisi. L’unico terreno off-limits riguarda il nuovo film Io capitano, nelle sale dal 7 settembre, protagonisti Seydou Sarr e Moustapha Fall, storia del viaggio tragico e avventuroso di due ragazzi che lasciano Dakar per raggiungere l’Europa, affrontando “un’Odissea contemporanea attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare”.

Garrone, dopo “Gomorra” e “Dogman” torna a puntare l’obiettivo sui nostri giorni, usando il suo linguaggio pittorico e metaforico e mettendo in modo ancor più incisivo il dito nella piaga dell’attualità...

“Sto facendo un percorso, ma non so bene dove sto andando e nemmeno lo voglio sapere. Faccio del mio meglio per raccontare storie che siano vive. Sono d’accordo con quello che diceva Fellini, non ci sono film belli e brutti, ci sono solo film vivi o morti. Cerco di fare film vivi”.

“Io capitano” sarà in cartellone alla prossima Mostra di Venezia?

“Non posso dire molto, se non che il film è su due ragazzi che fanno un viaggio partendo dall’Africa. Sarò felice di parlarne quando sarà possibile”.

È contento del risultato finale?

“Questo dovrete dirlo voi. Quando finisco un film sono sempre contento, anche se ogni volta mi lascio aperta una strada per tornare a girare. Metto da parte una piccola quota del budget, così se dopo il montaggio e dopo le proiezioni-test, mi viene in mente di correggere qualcosa, posso farlo. Ho un tesoretto, l’ho usato anche stavolta. Per L’imbalsamatore siamo tornati sul set in nove, su una troupe che in tutto era stata di 40 persone, abbiamo girato quasi 50 minuti e abbiamo raddrizzato il film. Le riprese, per me, sono un po’ come quando si va a fare la spesa. Se hai comprato buoni ingredienti, è probabile che venga fuori un buon piatto, ma poi c’è il montaggio, che è come cucinare, e anche lì non si può mai dire come sarà la pietanza”.

Le è mai capitato, a fine riprese, di non essere soddisfatto?

“Non è facile fare buoni film, cere volte si fanno errori in buona fede. Per Dogman avevo scelto un altro attore protagonista e anche un’altra location, totalmente sbagliata. Stavo per iniziare a girare, ma ho capito che non avevo preso le decisioni giuste, così ho cambiato tutto. L’errore è sempre in agguato, certe volte te ne accorgi in tempo e cambi rotta, altre no”.

Ha tenuto una masterclass, qual è il consiglio che darebbe ai futuri registi?

“Sono un autodidatta, non ho una preparazione teorica, per me il lavoro è sempre un’esperienza vissuta sul campo. Quando incontro ragazzi cerco di capire che cosa li interessa, quali sono i loro obiettivi, e cerco di mettermi al loro servizio. Non ho la frase magica che risolve tutto, apro un dialogo. Una cosa che raccomando sempre è di non omologarsi, di trovare un loro linguaggio. Oggi si fanno film con budget sempre più ridotti, ci sono telecamere straordinarie, è diverso da quando ho iniziato io. Allora esisteva ancora la pellicola, facevo i miei corti con gli scarti della pellicola di Nirvana di Salvatores. Adesso se hai un’idea la puoi realizzare, i ragazzi non hanno alibi”.

Alla base dei suoi film ci sono stati spesso temi legati alla realtà, che lei ha riletto attraverso la sua particolare sensibilità. Come è andata?

“La cronaca ti lega e io, invece, voglio essere libero, voglio conservare la possibilità di mettere la mia e la nostra fantasia nelle cose che faccio. Quando ho affrontato Gomorra ho scelto un linguaggio quasi documentaristico perché volevo restituire allo spettatore l’esperienza di vivere dentro quel mondo. Ogni film ti suggerisce un approccio. Quello di Dogman è una fusione esplicita tra realismo e astrazione fiabesca. Gomorra è una fiaba nera, avevo letto il libro di Saviano appena pubblicato, rimasi colpito dalla forza di una realtà che sconfinava quasi nella fantascienza”.

Ha detto di avere un’idea per rilanciare le sale cinematografiche. Qual è?

“Secondo me bisognerebbe classificare le sale, come si fa con gli alberghi e con i ristoranti. Dovrebbero esserci sale a 3, a 4, a 5 stelle, così da una parte si valorizza il lavoro degli esercenti e dall’altra si tutelano gli spettatori evitando che paghino un biglietto per poi trovarsi in un cinema dove lo schermo è grande come quello del televisore di casa”.