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di Michele Brambilla

huffingtonpost.it, 20 gennaio 2023

Da cinque giorni l’Italia segue le notizie sul boss fra aspettative mirabolanti, retroscena inverosimili, dettagli clamorosi. La realtà non basta, serve il grande intrattenimento.

C’è un po’ di delusione, diciamo la verità, per come sta andando questa storia dell’arresto di Matteo Messina Denaro. S’era risultato tanto, dopo quel blitz in clinica; s’era sperato tanto. E invece.

Doveva pentirsi, e continua a essere un mafioso come è stato per i già trascorsi 62 anni e mezzo. Doveva collegarsi in video dal carcere di L’Aquila con l’aula bunker di Caltanissetta, e non s’è presentato: hanno rinviato l’udienza come fosse un processo qualsiasi. Perfino l’inizio della chemioterapia l’hanno rinviato. E poi doveva esserci il riscatto civile di un popolo, e al corteo antimafia organizzato al paese natale, Castelvetrano, si sono presentati in ventiquattro. Dovevano trovare il tesoro nascosto, e niente: tre covi e né soldi né pizzini. Solo un poster di Marlon Brando. E che cacchio.

C’è un po’ di delusione, anzi molta, perché ormai ci si è abituati alle docuserie, quelle in cui i narratori sono colleghi presentati nel sottopancia come “giornalisti investigativi”. E dunque ci si aspettava e ci si aspetta ancora un seguito, a questa storia della primula rossa della mafia. Svelerà finalmente i misteri della nostra storia? Gli intrecci fra Cosa Nostra e politica? Si sarà mica messo in testa di continuare a fare il mafioso che sta zitto, questo Messina Denaro.

C’è attesa di sapere come saranno le prossime puntate anche perché le ricostruzioni dei giornalisti investigativi e dei lettori investigativi già si accavallano. Dicono che insomma è un po’ strano che questo si sia fatto beccare così, senza poi neanche opporre resistenza, dai: è chiaro che s’è uscito lui dopo una trattativa. Ora, quindi, cari magistrati e cari politici: diteci finalmente che cosa ha ottenuto in cambio. Perché è evidente che non ce la state raccontando giustamente.

Per altri, invece, nonostante il muro di gomma, tutto è chiaro: e cioè è chiaro che non chiariscono perché c’è di mezzo Silvio Berlusconi, con quei suoi vecchi rapporti via Marcello Dell’Utri, e poi le stragi del ‘92 e ‘93. E tutto può essere, intendiamoci. Ma adesso Berlusconi è al governo, e allora perché ha permesso che l’arrestassero? Misteri. Misteri d’Italia.

Perché non prendere atto che la mafia è la mafia, una cosa schifosa e tragicamente potente, ma anche che qualche volta lo Stato vince? Che insomma questo padrino è finito finalmente dentro, come dentro erano finiti anche Totò Riina, Tano Badalamenti, Tommaso Buscetta, e ancor prima Luciano Leggio detto Liggio? Perché dobbiamo pensare che ci sia sempre qualcosa di nascosto, di inconfessabile, qualcosa che “non ci dicono”? E poi chi sono quei “loro” che non “ci” dicono? Vuoi vedere che c’è dietro ancora Giulio Andreotti, che aveva lasciato istruzioni scritte sul da farsi in caso che? E dove sono ora, quegli appunti di Belzebù? Chi si nasconde? E perché? Misteri.

“In Italia ogni atto della vita pubblica ha due lati, uno apparente e uno nascosto: vi è la scena e la controscena, perché le tradizioni della tirannide secolare ci hanno abituati alla cospirazione. Onde non sappiamo pensare a qualche cosa che dovrebbe per se stessa prodursi alla luce del giorno senza apparecchiarla colla cospirazione”. Così scriveva Francesco De Sanctis in “Sopra Niccolò Machiavelli”: era il 1869 e non c’erano ancora le serie tv.

Quelle dove il ritornello “guarda caso” domina ogni ricostruzione, collegando nomi, numeri, date, analogie, similitudini, coincidenze, supercazzole. Un filo narrativo con il quale si può portare non dico a dimostrare, e ci mancherebbe, ma a far sospettare tutti di tutto. Anche nella vita di ciascuno di noi si può ricostruire, a forza di guarda caso, una trama misteriosa. Qualche collega pistarolo, ad esempio, potrebbe indagare nella vita di chi scrive questo articolo, e far sospettare che l’abbia scritto per coprire qualcosa, magari anche per sminuire la mafia. E infatti.

Quel pomeriggio del 12 dicembre 1969 mio padre (giuro che quello che segue è tutto vero) era appena transitato da piazza Fontana e stava dirigendosi verso la Banca Commerciale di piazza della Scala, dove guarda caso era collocata l’altra bomba, poi rimasta inesplosa. E chi celebrò i funerali delle vittime della strage di piazza Fontana? Guarda caso l’arcivescovo di Milano, cardinale Giovanni Colombo, che era primo cugino di mia nonna. Che combinazione. E proprio questa settimana, chi scrive questo articolo ha fatto anche un’intervista a un ex arcivescovo proprio di Milano: sarà mica per dare un segnale in codice a qualcuno? Perché poi, sempre chi scrive anni fa era stato assunto al quotidiano La Stampa: e sapete da chi? Ma dal figlio del commissario Luigi Calabresi, che indagò su quella strage. E prima di lavorare a La Stampa dove aveva lavorato per due anni? Ma al Giornale di Berlusconi, quello della P2 e di Dell’Utri. E ora dove scrive? Sull’HuffPost, che guarda caso è dello stesso gruppo de La Stampa. Ma poi, ecco che alla fine salta fuori il colpo di scena: alle medie superiori era in classe con un racconto Salvatore Messina: parente? E perché poi, negli anni successivi, chi scrive questo articolo è andato diverse volte in Sicilia? Vacanze? Vacanze solitarie? Siamo sicuri? O vogliamo aprire gli occhi e vedere un filo rosso che lega stragi e mafia, Chiesa e massoneria, stampa e potere? alle medie superiori era in classe con un tale Salvatore Messina: parente? E perché poi, negli anni successivi, chi scrive questo articolo è andato diverse volte in Sicilia? Vacanze? Vacanze solitarie? Siamo sicuri? O vogliamo aprire gli occhi e vedere un filo rosso che lega stragi e mafia, Chiesa e massoneria, stampa e potere? alle medie superiori era in classe con un tale Salvatore Messina: parente? E perché poi, negli anni successivi, chi scrive questo articolo è andato diverse volte in Sicilia? Vacanze? Vacanze solitarie? Siamo sicuri? O vogliamo aprire gli occhi e vedere un filo rosso che lega stragi e mafia, Chiesa e massoneria, stampa e potere?

Guardate che si scherza fino a un certo punto. Molte minchiate di questo genere sono il vero, se non l’unico collante delle docuserie nelle quali i “giornalisti investigativi” ci fanno intendere che, alla fine, tutto torna. E per carità, non è che non ci siano trame, misteri, complotti: ci sono, da che mondo è mondo. Ma non sempre è una trama, un mistero, un complotto. A volte, i “guarda caso” servono solo ad alcuni per fare quattrini, e ad altri - quelli che se li bevono - per placarsi, perché così si può pensare che, se nella vita non ce la si è fatta, è perché qualcuno ha remato contro. Complottando.