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di Liana Milella

La Repubblica, 3 aprile 2023

Per il Garante delle persone private della libertà il compromesso raggiunto nel 2017 con l’ingresso del reato di tortura nel codice penale non va cambiato. “Se si cambia il reato di tortura sono a rischio i processi in corso”. Non lascia dubbi Mauro Palma, il Garante delle persone private della libertà, sull’ipotesi non solo dei meloniani, ma dello stesso Guardasigilli Carlo Nordio, di modificare il reato di tortura.

Mauro Palma, per parlare del reato di tortura, partiamo dai processi in corso e dalle vittime. Penso subito alle violenze di Santa Maria Capua Vetere. Che accadrebbe se il reato, pur restando lì dov’è nel codice, dovesse cambiare?

“Certamente avrebbe effetti sul processo in corso, perché non credo che ci sia alcuna intenzione di cambiare per aggravare la configurazione del reato - il che renderebbe non applicabile la modifica - bensì per attenuarla e questo avrebbe sicuri effetti. Sarebbe grave perché lo sconcerto dell’opinione pubblica rispetto a quei maltrattamenti e le parole pronunciate allora proprio a Santa Maria Capua Vetere dall’allora presidente del consiglio Draghi e dalla ministra Cartabia erano chiare, lapidarie”.

Insisto sui processi in corso perché è da lì che bisogna partire proprio come è accaduto nel 2017, e negli anni precedenti, quando con estremo ritardo doveva essere inserito il nuovo reato nel nostro codice. Nei processi fatti da quando c’è il reato lei ha visto forzature?

“Non ho visto forzature, ma una grande capacità della magistratura giudicante nel saper distinguere, nel riportare taluni episodi a un reato grave ma minore e diverso dalla tortura e nell’inquadrarlo invece in tale fisionomia in altri, fortunatamente pochi, casi; come per esempio recentemente fatto dal tribunale di Siena”.

Hanno ragione o torto le forze di polizia a chiedere che il reato cambi, o venga addirittura trasformato in una semplice aggravante come chiede un gruppo di deputati di FdI, perché si sentono perseguitati?

“Pensare che la tortura possa essere soltanto una semplice aggravante, magari bilanciabile con attenuanti, non fa onore alla cultura civile del nostro Paese. Le forze di polizia, intese nel loro complesso, hanno una cultura solidamente democratica e proprio il riconoscimento di tale realtà mi porta a dire che è offensivo nei loro confronti pensare che tale richiesta venga da loro e non da una esigua minoranza”.

Ho riletto il primo articolo della convenzione Onu del febbraio 2015 “contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti” e lì c’è il riferimento esplicito proprio a “dolore o sofferenze inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze derivanti unicamente da sanzioni legittime, ad esse inerenti o da esse provocate”...

“Il dibattito sulla previsione del reato di tortura nel nostro codice si è protratto per lunghi anni. Molti dicevano che tali comportamenti erano già sanzionati con altre ipotesi di reato, dalle lesioni aggravate, all’abuso e quant’altro. La realtà era che in questo modo non si evidenziava in modo chiaro l’inaccettabilità della tortura e anche che tali reati di configurazione più ‘debole’ potevano andare in prescrizione rapidamente, dando così un messaggio d’impunità”.

Nel 2017, quando finalmente fu inserito nel nostro codice il reato di tortura, ci fu un duro dibattito su questo, se prevedere un “dolo generico”, cioè violenze commesse da “chiunque”, la formula poi adottata, oppure un “dolo specifico”, cioè commesso proprio dalle polizie. Lei da che parte stava allora?

“Dopo essere stati sanzionati dalla Corte europea dei diritti umani per l’implicita impunità degli autori di episodi che il giudice aveva definito come tortura, il dibattito sul reato ha preso maggiore vigore. Si è raggiunta una mediazione, quella di prevedere un reato generale e poi di prevedere la specificità della commissione da parte di un pubblico ufficiale. Formula di mediazione che credo sia bene non toccare”.

Nordio garantisce sulla “sua parola” che il governo non cancellerà il reato di tortura, e quindi toglie del tutto peso alla proposta di legge di FdI. Ma dice chiaramente che bisognerebbe passare dal “dolo generico” a quello “specifico”. Se accadesse questo - glielo chiedo con parole semplici - sarebbe meglio o peggio per le polizie?

“Credo sarebbe peggio. Un reato specifico che può essere commesso solo dalle forze dell’ordine finirebbe per sollevare ulteriori obiezioni e forse risentimento, anche se è vero che la Convenzione delle nazioni unite lo configura in questo modo. Del resto, la Cassazione ha già spiegato che anche nel testo attuale la commissione del reato da parte di chi ha responsabilità pubblica acquista una fisionomia propria”.

E che cosa accadrebbe ai processi in corso passando da un dolo “generico” a uno “specifico”? Verrebbero compromessi?

“Mi sembra che tutti coloro che sono a processo attualmente accusati di tale reato siano pubblici ufficiali. Tuttavia, si creerebbe un’indebita confusione attorno a episodi di enorme gravità”.

Dica la verità, lei consiglierebbe alla politica di lasciare tutto com’è?

“Esattamente. Occorre maturare con maggiore distanza gli esiti della sua applicazione; valutarla con le sentenze definitive”.