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di Chiara Bidoli

Corriere della Sera, 28 gennaio 2024

“I bimbi arrivano come zombie. Curarli significa anche farli tornare al sorriso”. Sulla Vulcano da dicembre ci sono operatori sanitari della Marina, dell’Esercito, dell’Aeronautica e medici volontari della Fondazione Francesca Rava con l’obiettivo di stabilizzare i pazienti più gravi per poi trasferirli in ospedali di livello più avanzato. C’è un ospedale “galleggiante” che offre cura e protezione a chi ha visto e provato sulla pelle le conseguenze di un conflitto che non risparmia bambini e donne. Si tratta della nave italiana Vulcano ormeggiata nel porto egiziano di Al Arish, a 20 km da Rafah, che grazie ai medici della Marina Militare, dell’Esercito Italiano e dell’Aeronautica Militare, della Fondazione Francesca Rava e alcune figure sanitarie del Qatar, sta prestando soccorso ai feriti civili provenienti da Gaza. La missione della Vulcano fa parte di una serie di aiuti che il Governo italiano, in accordo con i principali partner della regione e d’intesa con Israele, ha attivato a supporto della popolazione. Tra le altre iniziative in programma c’è anche l’accoglienza in Italia di circa cento bambini palestinesi affetti da gravi complicazioni che, accompagnati dalle loro famiglie, riceveranno assistenza sanitaria presso alcune strutture ospedaliere d’eccellenza del nostro Paese.

La testimonianza - “Vedere arrivare sulla nave bambini terrorizzati, sia per le ferite che per la paura, fortemente denutriti, che hanno vissuto sotto il rumore incessante delle bombe è un’esperienza che ti segna, anche se sei un medico di emergenza”, racconta Enrico Ferrazzi ex primario della Clinica Mangiagalli - Policlinico di Milano tra i primi medici della Fondazione Francesca Rava a prestare soccorso sulla Vulcano.

“I bambini arrivano sulla nave come zombie, impietriti dalle ferite e dalla paura, soprattutto perché si vedono circondati di nuovo da militari ma poi, appena si sentono al sicuro, nonostante la sofferenza fisica, tornano a sorridere - continua Ferrazzi -. Con loro, più che con gli adulti, la comunicazione non verbale è importantissima: capiscono il senso dei nostri gesti, sono confortati da piccole attenzioni e ci danno lezioni di resilienza. Ho ancora negli occhi l’immagine di una bimba di 12 anni arrivata sulla nave gravissima, con lacerazioni sull’addome causate dalle schegge di una bomba. Quando è uscita dalla sua condizione critica e ha potuto rialzarsi e riprendere a camminare l’abbiamo portata sul ponte della nave e alla sola vista del mare, quello stesso mare che aveva visto chissà quante volte, il suo sguardo vuoto si è riempito nuovamente di vita e speranza. Dopo 23 anni di direttore di clinica ho incontrato tanti pazienti ma quegli occhi, ne sono certo, non li scorderò mai”.

La nave “ospedale da campo” - La nave Vulcano non è una nave ospedale, ha delle capacità ospedaliere che sono state potenziate e ricondizionate, in 24 ore, anche per curare donne e minori. “Grazie all’assetto “Role 2” (ndr degli standard assistenziali Nato) abbiamo creato un vero e proprio “ospedale da campo” sulla nave con funzioni di chirurgia, terapia intensiva e sub intensiva, sale operatorie, laboratorio di analisi, farmacia, unità diagnostica, radiologia e telemedicina, posti di degenza ordinaria e intensiva avvalendoci di personale medico reclutato dalle tre forze armate (Marina, Esercito e Aeronautica) a cui si sono aggiunti i volontari della Fondazione Francesca Rava (per l’area ostetrico-ginecologica, pediatrica e di chirurgia plastica) e le infermiere della Croce Rossa - spiega il Ten. Col. Valerio Stroppa, ortopedico dell’Esercito in forza al Celio (ndr il Policlinico Militare dell’Esercito a Roma) -. Quello che offriamo è sia un supporto basico con l’erogazione di medicinali alla popolazione, sia attività specialistiche e ultra specialistiche grazie alla presenza di diverse competenze: chirurghi, ortopedici, anestesisti, ginecologi, pediatri, infermieri”. I pazienti che arrivano sulla nave vengono selezionati dal personale medico di terra secondo criteri di urgenza e, se necessario, una volta stabilizzati, dalla Vulcano vengono poi trasferiti in strutture ospedaliere di livello avanzato.

Curare su una nave - “A bordo arrivano i casi più disparati: dalla donna incinta, a quella crivellata, a quella paralizzata e che abbiamo operato riportandole in funzione gli arti superiori, e poi bambini lacerati e mutilati - continua Stroppa -. Alla base di ogni trattamento, come diceva Ippocrate, c’è la fiducia che anche in un contesto così complesso è il primo step di cura e significa prima di tutto mediazione linguistica e culturale”. Professionalità, capacità di risolvere le criticità e una motivazione forte ad aiutare chiunque ne abbia bisogno hanno reso in poco tempo il gruppo coeso ed efficace. “A bordo ci siamo ritrovati con personale che, in gran parte, non si conosceva, in una struttura che non era mai stata testata ma, grazie agli assetti militari collaudati e a un lavoro di équipe, non solo del personale sanitario ma di tutto l’equipaggio a bordo (ca. 200 persone), siamo in grado di supplire a qualsiasi tipo di necessità e effettuare anche interventi chirurgici ultra-specialistici, come il trapianto chirurgico di un nervo”, dice Stroppa. “Tra leggere le cose

e vederle, viverle, la differenza è terribilmente diversa. Dietro i numeri ci sono le persone, con le loro storie. L’impatto sul piano umano è fortissimo. In un mondo, come quello sanitario pieno di regole e protocolli a volte dimentichiamo cosa significa fare il medico. In questo contesto l’ho apprezzato fino in fondo. Mi sono reso conto del valore che semplici gesti umani, all’interno di un percorso di cura, fanno la differenza. Per me è stata la riconferma di aver fatto la scelta di vita giusta”, conclude Ferrazzi.

Gli interpreti - Abbattere le barriere linguistiche e culturali tra la popolazione e il team sanitario è il primo passo per iniziare le cure. “I pazienti hanno bisogno di tirare fuori l’enorme dolore che si portano dentro e anche questo ha una funzione terapeutica. Senza il supporto dei nostri mediatori culturali il lavoro dei medici non sarebbe possibile”, dice Vincenzo Attanasio, Ten. di Vascello della Portaerei Cavour. “Il mio compito è quello di mediare le sofferenze di ogni singolo individuo e renderle più accessibili possibile ai medici, partendo da quel rapporto di empatia e fiducia che creo con il paziente - racconta Nadia Trabelsi, interprete di arabo della Marina Militare -. A volte bastano piccoli gesti, come offrire il tè o un dattero che, per le donne palestinesi, non è un semplice frutto ma qualcosa legato alla fede, alle tradizioni, ai ricordi, utile a far scattare la fiducia”.

I livelli assistenziali militari - Si dividono in Role 1, Role 2, Role 3, Role 4, che rappresentano quattro diversi livelli di assistenza secondo gli standard definiti dalla Nato. “Il Role 1 è il livello di base, con dispositivi che si schierano a ridosso della linea di operazione e offrono punti di medicazione avanzata con la presenza di 1 medico e di 1 infermiere, con l’obiettivo di una stabilizzazione diretta del paziente - spiega Stroppa -. Il Role 2 è un livello superiore, con assetti da ospedale da campo ed è formato da un assetto medico che comprende: 2 anestesisti, 1 ortopedico, 2 chirurghi, 1 medico d’emergenza e una serie di infermieri e figure professionali che permettono di utilizzare i laboratori, l’assetto di radiologia, le 2 sale operatorie. Il Role 2 permette di erogare prestazioni sia di degenza ordinaria che di chirurgia, con l’obiettivo di stabilizzare il paziente e poterlo trasferire presso livelli assistenziali superiori. Il Role 3 è, di fatto, un Role 2 con capacità maggiori, ultra specialistiche come neurochirurgia o oculistica, che non sono presenti nel Role 2 che è più emergenziale. E poi c’è il Role 4, che in Italia è il Celio, il Policlinico militare di Roma, che accoglie i feriti per le cure definitive, con livelli di assistenza avanzata. La nave Vulcano, in questo caso, ha offerto la logistica per poter lavorare a cui è stato applicato l’assetto Role 2, un assetto a supporto della popolazione civile già rodato (per esempio in Libia e Afghanistan) e stabilito, e per questo estremamente efficace. A questo assetto di base se ne possono aggiungere altri che possono coadiuvare a seconda delle situazioni. In questa missione la Fondazione Francesca Rava ha fornito competenze in campo ginecologico, ostetrico e pediatrico, mentre il Qatar ha fornito tre medici specialisti”.