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di Michele Giorgio

Il Manifesto, 9 novembre 2023

Intervista ad Andrea Di Domenico, a capo di Ocha, l’ufficio dell’Onu per gli affari umanitari: coloro che vanno a sud dovrebbero trovare dei rifugi sicuri ma di sicuro non c’è nulla. La condizione dei civili palestinesi a Gaza peggiora con il passare dei giorni. Per fare il punto della situazione, abbiamo intervistato a Gerusalemme Andrea Di Domenico, a capo di Ocha, l’Ufficio dell’Onu di coordinamento degli affari umanitari.

Il segretario generale Guterres insiste per un cessate il fuoco immediato a Gaza...

Il suo appello per un cessate il fuoco umanitario è più che giustificato. Abbiamo un milione di sfollati e stimiamo che 400-500mila persone siano ancora nel nord di Gaza (sotto attacco israeliano, ndr). Come Nazioni unite non siamo in grado di distribuire l’assistenza nei modi e nelle quantità che richiede questa situazione tanto grave. Abbiamo grandi difficoltà a soddisfare le richieste di beni primari: acqua, cibo e medicine. Poi ci sono altri beni che consideriamo ugualmente primari, come i materassi e le coperte. La gente ha perso tutto, le case sono state bombardate. Circa 700mila sfollati sono nei centri di accoglienza. Solo alcuni di questi luoghi erano preparati per questa funzione, i rimanenti sono scuole dell’Unrwa (Onu) riorientate per questo scopo all’ultimo momento. Lo sforzo umanitario inoltre è stato messo in piedi all’improvviso. I nostri piani di contingenza prevedevano una risposta a partire dal nord dove avevamo le nostre infrastrutture ma la guerra, per come si è sviluppata, ci ha ribaltato completamente il tavolo.

Parliamo proprio nel nord di Gaza, le informazioni disponibili parlano di distruzioni senza precedenti...

Abbiamo un accordo con Unosat che ci mette a disposizione immagini di Gaza studiate ed analizzate da esperti in grado di determinare l’impatto della guerra sul terreno. Stimiamo perciò una distruzione totale o parziale del 15% delle abitazioni palestinesi nel nord. Naturalmente queste distruzioni si concentrano in determinate zone. Colleghi mi dicono che (i reparti israeliani) stanno ora stringendo sul quartiere Rimal di Gaza city, il che vuol dire che sono vicini all’ospedale Shifa che è uno dei problemi più grossi. Da un lato abbiamo una delle strutture sanitarie più importanti, dall’altro ci sono le accuse di Israele secondo le quali lo Shifa verrebbe utilizzato dai miliziani (di Hamas). Abbiamo ribadito la nostra posizione contraria al possibile uso degli ospedali a protezione di obiettivi militari. Lo diciamo a tutti, anche ad Hamas. Allo stesso tempo ciò non significa che l’altra parte (Israele) sia giustificata a bombardare l’ospedale.

Sono davvero sicuri i corridoi aperti da Israele per lo spostamento dei civili da nord a sud di Gaza?

Abbiamo detto agli israeliani che per garantire i civili non è possibile dichiarare unilateralmente un corridoio, occorre che tutte le parti in conflitto siano d’accordo. Sabato e domenica scorsi lungo questo corridoio, la superstrada Salah Edin che va da nord a sud di Gaza, ci sono stati scontri a fuoco. Oltretutto la strada è danneggiata in più punti perché bombardata e non è percorribile dagli autoveicoli, molti dei quali fermi per la mancanza di carburante. Quindi si va a piedi e le persone che non sono in grado di camminare fanno i conti con questo grave impedimento. Inoltre coloro che vanno a sud dovrebbero trovare dei rifugi sicuri ma come abbiamo visto di sicuro non c’è nulla neanche a sud. La quantità di strutture delle Nazioni unite prese di mira è enorme.

Il carburante. Israele dal 7 ottobre non ne permette l’ingresso a Gaza. Come fanno le Nazioni unite a continuare il loro lavoro?

Il carburante che riceviamo non è sufficiente a coprire i bisogni. Diamo priorità ai rifornimenti per l’impianto di desalinizzazione che dare acqua potabile alla popolazione e ai rifornimenti per gli ospedali. Per quelli al nord c’è l’opposizione di Israele che parla di scorte di carburante in possesso di Hamas e che dovrebbero essere date degli ospedali. Le strutture sanitarie stanno facendo di tutto per risparmiare energia. Allo Shifa ci sono 43 neonati nelle incubatrici e una quarantina di pazienti necessitano dei respiratori. Dovesse mancare l’elettricità quelle persone sarebbero condannate a morte. Noi non sappiamo nulla di questo carburante nascosto, non possiamo confermarlo o smentirlo. Sappiano invece che il carburante serve a produrre elettricità per usi civili. Anche per i depuratori. Sappiamo che acqua di fogna non trattata defluisce al sud dove si ammassano gli sfollati. La popolazione ora cammina sull’acqua di fogna esponendosi al rischio di malattie infettive.