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di Letizia Tortello

La Stampa, 1 febbraio 2024

L’ex giudice del Ruanda, Silvana Arbia, dopo l’apertura del procedimento per le accuse di genocidio: “Se è uno Stato di diritto, lo dimostri. La Convenzione su questo crimine è nata proprio dopo la Shoah”. “Israele è uno Stato di diritto: bene, lo dimostri”. La Corte di Giustizia dell’Aia ha emesso un’ordinanza che avrà anche scontentato le parti in guerra (i palestinesi si aspettavano il cessate il fuoco, Gerusalemme parla di sentenza “antisemita”), ma ha un’importanza giuridica internazionale che dovrebbe produrre un effetto a farfalla. Quel che sembra un battito d’ali, potrebbe diventare uno tsunami. A spiegarla così è la giudice Silvana Arbia, ex procuratrice internazionale dei crimini del Ruanda ed ex cancelliera della Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aia.

Ad Israele “conviene ottemperare alle misure impostegli dalla Corte Internazionale di Giustizia”. Che significa?

Dimostrare “che sta facendo qualcosa per i civili di Gaza, prendere misure per evitare di uccidere i membri del un gruppo palestinese protetto come tale dalla Convenzione sulla prevenzione e repressione del genocidio, consentendo loro di disporre delle condizioni essenziali per vivere (accesso all’acqua, al cibo, a cure mediche); impedendo e punendo coloro che istigano direttamente e pubblicamente al genocidio”. In questo modo, Israele ne uscirà ““benissimo”“. “Se è intelligente, farà tutte queste cose. Continuare a condurre operazioni militari senza tener conto degli obblighi che la Convenzione gli impone e che la Corte gli ha ordinato non le conviene”.

L’Onu dichiara che “Gaza è diventata quasi inabitabile”. Netanyahu è sotto pressione da più parti, ma non ferma la guerra. Perché dovrebbe convincerlo un provvedimento dell’Aia non vincolante?

“L’ordinanza della Corte di Giustizia è un caposaldo della giurisprudenza che verrà, importantissima per il nostro mondo nuovo, vi spiego perché. L’Aia ha emesso misure provvisorie che sollecitano tra il resto Israele a smettere di causare gravi danni fisici o mentali alla popolazione palestinese, o la loro distruzione totale o parziale, a smettere di compiere atti che possono essere riconducibili al genocidio, a prevenire o punire l’incitamento al genocidio. Tra le misure vi é anche l’obbligo di non distruggere le prove. Misure molto chiare, equilibrate, che conviene seguire, pena molto più gravi conseguenze”.

Quali potrebbero essere conseguenze più gravi di queste?

“L’accusa di genocidio è la peggiore al mondo, è molto infamante. Non credo Israele voglia macchiarsene. Nessuno ha obbligato Gerusalemme a firmare la Convenzione sul genocidio, ma ironia della sorte questa Convenzione è nata proprio dopo la II Guerra Mondiale. Fu un ebreo polacco, Raphael Lemkin, che ideò questa Convenzione, in seguito alla tragedia della Shoah. Oggi, la Corte ha giudicato sulla base di “fumus boni iuris”, secondo una parvenza di violazione in base alle prove fino al 26 gennaio. Poi, si andrà a vedere nel merito. Si giudicherà se sarà stato genocidio o no”.

Che obblighi ha Israele?

“Deve presentare un rapporto alla Corte entro il 25 febbraio, con le misure adottate”.

Perché L’Aia non ha chiesto il cessate il fuoco?

“Perché oggetto dell’esame é la violazione della Convenzione sul genocidio e non le violazioni del diritto internazionale umanitario al cui rispetto la Corte richiama comunque le parti in conflitto, chiedendo anche la liberazione immediata ed incondizionata degli ostaggi; perché Hamas non é parte in causa e sarebbe una misura suscettibile di strumentalizzazione politica, mentre la Corte emette decisioni basate sul diritto e a fini di giustizia, giustizia che oggi non consente rinvii, essendo urgente garantire che i diritti del popolo palestinese siano protetti da atti di genocidio. Non tocca alla Corte dire come rispettare la sentenza, tocca a Israele trovare le misure per rispettarla”.

Smettere di uccidere i membri di un gruppo non significa, di fatto, cessate il fuoco?

“Per non uccidere i membri di un gruppo non c’è strettamente bisogno di un cessate il fuoco”.

Su quali numeri ha giudicato la Corte?

“Non è andata a verificare a Gaza, perché non può. Ma i rapporti dell’Onu parlano di 25.700 palestinesi uccisi e 63 mila feriti, 1,7 milioni di sfollati internamente, 360 mila case distrutte o danneggiate, popolazione privata di acqua, cibo, accesso alle cure e alle medicine, 15% dei parti che ha provocato la morte della madre o del neonato. E queste sono cifre che tendono ad aumentare”.

Ma se per Israele non c’è dolo, cioè i morti sono danni collaterali e lo Stato si sta difendendo da una minaccia, che efficacia ha la sentenza?

“Il giudice Benjamin Ferencz, l’ultimo pm vivente fino all’anno scorso del processo di Norimberga, diceva una cosa illuminante: “Usare la forza della legge, non la legge della forza”. È l’unico modo per dirimere questa questione, sennò si ritorna alla fase primitiva pre-Nazioni Unite, dove contano solo le esigenze militari e l’uso della forza é il mezzo per risolvere i conflitti. Ripeto, è una sentenza molto importante, che responsabilizza tutti gli Stati, anche piccoli a vigilare affinché nessuno Stato parte della Convenzione sul genocidio ne violi gli obblighi in tempo di pace e in tempo di guerra. Il mondo non può essere responsabile di dare garanzia di impunità e immunità a nessun Paese. Sarebbe una violazione dell’ordine mondiale a cui siamo abituati dopo l’esistenza dell’Onu”.