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di Daniele Zaccaria

Il Dubbio, 27 dicembre 2023

Durissima offensiva militare nella Striscia, colpito il campo profughi di Maghazi e la sede della Mezzaluna rossa. Iran e Hezbollah promettono vendetta. Un Natale di bombardamenti sulla Striscia di Gaza dove l’offensiva israeliana è ripresa con tutta la sua intensità e le comunicazioni (internet e rete telefonica) sono di nuovo interrotte. L’epicentro delle operazioni è nella città di Khan Younis, la seconda più popolosa dell’esclave palestinese teatro di feroci combattimenti e dove è stata colpita la sede della mezzaluna rossa in un raid aereo.

Nelle ultime ore sarebbero morte oltre mille persone, denuncia il ministero della sanità di Gaza. L’Idf ha annunciato l’arrivo di altre migliaia di soldati, tra cui ingegneri militari, per rafforzare l’invasione di terra e arrivare alla resa dei conti con i miliziani di Hamas ma soprattutto con i dirigenti. Il ricercato numero uno è Yahya Sinwar, leader dell’ala militare che ha parlato per la prima volta dai pogrom del 7 ottobre. “Stiamo disputando una battaglia senza precedenti, ma non ci fermeremo, non ci sottometteremo all’occupazione”. Secondo Sinwar le Brigate al-Qassam dall’inizio dell’invasione avrebbero attaccato almeno 5.000 soldati israeliani, uccidendone un terzo e distruggendo oltre 700 mezzi blindati. Numeri in netto contrasto con il bollettino ufficiale delle forze israeliane (Idf) che parlano di appena 156 soldati rimasti uccisi.

Ma al di là della propaganda incrociata, ci sono i fatti i quali ci dicono che l’azione del governo Netanyahu non si limita più alla furiosa rappresaglia nella Striscia, il nemico non è infatti circoscritto alla prima linea di Hamas ma nel mirino ci sono anche i suoi presunti padrini, in particolare il regime iraniano e le milizie sciite di Hezbollah contro i quali ha riattivato la strategia degli omicidi mirati. L’uccisione del generale iraniano Sayyed Razi Mousavi, colpito lunedì scorso in un attacco aereo in Siria fa salire di livello lo scontro, finora avvenuto “per procura”, tra lo Stato ebraico e il regime degli ayatollah. Anche perché Mousavi non era un ufficiale qualunque ma uno dei più influenti consiglieri del Guardiani della rivoluzione, quasi equivalente per fama e importanza al generale Qassem Soleimani, capo delle brigate al Qods ucciso in un raid Usa nel 2020.

Tel Aviv sostiene che si tratta di azioni difensive e non si preoccupa degli effetti destabilizzanti in tutta la regione: “Siamo attaccati su sette fronti differenti”, ha detto in un intervento alla Commissione parlamentare per la sicurezza e la difesa, il ministro della Difesa Yoav Gallant, facendo capire che la guerra sarà lunga e complessa: “Ci attaccano da Gaza, dal Libano, dalla Siria, dala Cisgiordania, dall’Iraq, dallo Yemen e dall’Iran. Abbiamo già risposto e agito in sei di questi fronti. Voglio dirlo in maniera esplicita: chiunque agisca contro di noi è un potenziale bersaglio, non esiste immunità per nessuno”.

Come se non bastasse anche gli Stati Uniti di Joe Biden, che erano rimasti dietro le quinte tentando di frenare le rappresaglie di Netanyahu, sono entrati in scena in Iraq colpendo con dei droni esplosivi alcune istallazioni iraniane e di Hezbollah nell’area di Erbil, nel nord del Paese. Quel che tutti temevamo sta dunque prendendo corpo: la guerra tra Israele e Hamas si allarga a macchia d’olio coinvolgendo sempre più attivamente gli attori finora in seconda linea, come le milizie sciite di Hezbollah che ora promettono ritorsioni nei confronti dello Stato ebraico e degli alleati statunitensi.

Netanyahu ha intanto fissato tre requisiti per raggiungere la pace con i “vicini palestinesi di Gaza”, spiegando che l’offensiva va avanti fino al disarmo totale delle milizie islamiste: “Hamas deve essere distrutto, la Striscia di Gaza deve essere smilitarizzata e la società palestinese deve essere deradicalizzata. Questi sono i tre prerequisiti per la pace”, ha detto in un’intervista rilasciata al Wall Street Journal.

Herzi Halevi, capo di Stato maggiore israeliano di ritorno dal fronte, fa intanto sapere che la guerra durerà “diversi mesi”, perché gli obiettivi dei generali di Tel Aviv sono molto difficili da raggiungere in una zona che pullula di civili: “Abbiamo eliminato molti terroristi e comandanti, alcuni di loro si sono arresi alle nostre forze ed abbiamo preso centinaia di prigionieri - ha aggiunto - abbiamo distrutto molte infrastrutture sotterranee e armi, ma ci vorrà tempo, mesi, per terminare l’opera”.