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di Linda Ginestra Giuffrida

Il Manifesto, 7 novembre 2023

Domenica quattro membri della famiglia del giornalista Samir Ayub, corrispondente dal Libano per Russia TV, sono stati uccisi da un raid israeliano nei pressi di Aynata, nel distretto di Bent Jbeil, nel Libano meridionale. Inizialmente la protezione civile libanese aveva dichiarato morto anche lui, successivamente è stata smentita la sua morte ma accertata quella delle sue tre figlie di 9, 10 e 14 anni e di sua madre. La moglie del giornalista è rimasta gravemente ferita.

Secondo il comitato per la protezione dei giornalisti sono almeno 36 i giornalisti e gli operatori uccisi a Gaza dall’inizio del conflitto ad ora. A loro si aggiunge il corrispondente della Reuters, Issam Abdallah, ucciso in Libano lo scorso 13 ottobre. Un’inchiesta indipendente di Reporters senza frontiere ha confermato che Israele avrebbe deliberatamente colpito la stampa quel giorno. Secondo il materiale visionato, l’analisi sulla conformazione del territorio e l’analisi balistica, gli spari provenivano da Israele e l’indagine dimostrerebbe che non si è trattato di un errore. A confermare quanto accaduto ci sono anche le testimonianze degli altri giornalisti presenti sul posto in quella giornata. Sei di loro sono rimasti feriti nell’attacco.

Ad essere colpiti da Israele non sono solo i giornalisti ma anche i loro familiari. È accaduto domenica a Samir Ayub e lo scorso 25 ottobre al corrispondente di Al Jazeera nella striscia di Gaza, Wael Al-Dahdouh. Quel giorno era in diretta quando ha ricevuto la notizia che anche la sua famiglia era morta nei raid israeliani. A un’altra corrispondente di Al Jazeera a Gaza, Youmna ElSayed, lunedì 30 ottobre è stato intimato di lasciare la sua casa perché sarebbe stata bombardata insieme al resto della zona di Gaza City in cui abita. Nella Striscia ci sono numerosi reporter freelance che adesso chiedono non solo di essere ascoltati ma anche di essere protetti.