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di Massimo Ammaniti

La Repubblica, 23 ottobre 2023

C’è qualcosa nella mente collettiva dei due popoli che li spinge a ripetere gli stessi comportamenti da molti decenni. “Il sonno della ragione genera mostri” è il titolo di un’acquaforte del pittore spagnolo Francisco Goya che lo realizzò nel 1797, nella quale si vede un uomo dormiente sdraiato su una scrivania mentre attorno a lui schiere di uccelli ed animali terrorizzanti lo stanno travolgendo. È un dipinto fortemente evocativo che si riferisce al clima politico di quegli anni e che è sempre attuale nello scenario odierno della guerra in Ucraina e in Israele e nella Palestina. Quello che è successo a Gaza con la distruzione dell’Ospedale e la morte di centinaia di persone, fra cui molti bambini, ha provocato uno scontro mediatico fra Israele e Hamas, ognuno per accusare l’altro per la responsabilità dell’eccidio, prima che si chiarisse che si era trattato di un razzo della Jihad islamica caduto per errore nel parcheggio dell’ospedale. Attribuire le responsabilità all’aviazione israeliana serve a galvanizzare l’odio delle popolazioni arabe contro Israele, mentre nell’altro caso l’opinione pubblica di Israele si convincerebbe ancora una volta di più della necessità di invadere la striscia di Gaza infestata da terroristi. Quello che è mancato in entrambi i popoli è il dolore e la disperazione per la drammatica morte di tante persone, sia che si trattasse dei malati ricoverati in ospedale sia delle famiglie che si erano rifugiate lì, nella speranza di potersi salvare dai bombardamenti. L’odio ha accecato gli occhi di tutti, purtroppo sono morti uomini, donne e bambini che fuggivano terrorizzati, la cui vita è stata cancellata con le loro storie personali fatte di rapporti, di affetti, di desideri e di paure. La stessa cosa è avvenuta nel rave in Israele, dove sono stati massacrati ragazzi e ragazze giovanissimi che si aprivano alla vita e che non avranno la possibilità di viverla. Sono stati anche loro vittime dell’odio e della vendetta implacabile dei militanti di Hamas, che hanno volutamente estirpato i loro sentimenti per divenire giustizieri violenti, che non hanno mai appreso il linguaggio dei sentimenti umani.

Si può cercare di risalire alle cause di tutto questo, la nascita dello Stato di Israele non voluto dai paesi arabi, guerre di aggressioni concluse con sconfitte amare, insediamenti dei coloni israeliani che hanno eroso i territori palestinesi, le convinzioni deliranti di cancellare lo Stato di Israele, una spirale distruttiva che ha intrecciato i destini di due popoli e che rischia di perpetuarsi nel futuro condannandoli come Sisifo a reiterare i propri comportamenti inconcludenti.

Tutto questo è senz’altro vero, ma forse c’è qualcosa nella mente collettiva dei due popoli che li spinge a ripetere gli stessi comportamenti ormai da molti decenni, senza interrogarsi sul senso di quello che stanno facendo. La paura, l’insicurezza, il terrore, il risentimento e l’odio silenziano le capacità di guardare sé stessi, di comprendere quello che si pensa, i propri sentimenti, le proprie direzioni personali e le proprie motivazioni. Non riguarda solo una capacità individuale, si riferisce anche ai gruppi e addirittura ai popoli che perdono il terzo occhio, quello rivolto a sé stessi e che aiuta a comprendere anche gli errori effettuati e a correggere le traiettorie personali, non solo quotidiane anche quelle di più lunga durata. Come scrive Stephen Fleming, Direttore del Laboratorio di Neuroscienze dell’ University College di Londra, la metacognizione, ossia la consapevolezza di sé è fondamentale per vivere ed orientarsi nel mondo attuale. Questa autoconsapevolezza non solo si focalizza su sé stessi, aiuta a capire che anche gli altri hanno una mente come la propria , per cui ci si può interrogare “ io vedo quello che succede nel mondo a modo mio, ma come lo vedrà un’altra persona differente da me?”

Un esempio più che convincente raccontato da Stephen Fleming nel suo libro “Conoscere se stessi” riguarda quello che successe in Iraq nel 2002 con l’invasione americana, che veniva giustificata dai Comandi militari e dagli stessi Governanti convinti che Saddam Hussein e gli iracheni possedessero le armi di distruzione di massa. In una intervista alla Cnn fu chiesto a Donald Rumsfeld, Segretario della Difesa americana quali fossero le prove che il governo iracheno possedesse queste armi a cui rispose: “Sono interessato perché ci sono cose conosciute note. Poi ci sono cose sconosciute che non conosciamo e poi cose sconosciute che non sappiamo neppure di non sapere”. Con questa argomentazione capziosa si decise di entrare in guerra perché questa incognita sconosciuta sarebbe stata troppo pericolosa, anche se in seguito si è scoperta la sua falsità. Evidentemente Rumsfeld nonostante ignorasse l’esistenza di questo pericolo non ebbe incertezze, che invece lo avrebbero aiutato a dubitare dell’utilità dell’intervento. E se poi nonostante tutto si fosse intrapresa la guerra sarebbe stato possibile riconoscere gli errori e rimediare evitando di andare avanti a testa bassa compromettendo la propria posizione politica e il futuro dell’Iraq.

Purtroppo nella guerra fra israeliani e palestinesi ognuno vuol far valere le proprie ragioni che non vengono valutate in modo critico; diventano convinzioni granitiche, supportate anche da credenze religiose che provocano un’intolleranza dogmatica verso il nemico. L’altra faccia è l’autoritarismo con cui si impone la propria visione intransigente e la propria volontà nei rapporti cogli altri. Questo viene puntualmente confermato dai dirigenti di Hamas che si sono impossessati del potere abolendo le elezioni, mentre in Israele nonostante certe forme autoritarie del Governo attuale vi è un assetto democratico nel paese, testimoniato dalle manifestazioni oceaniche contro i provvedimenti governativi proposti per ingabbiare la giustizia. Speriamo che anche in questa drammatica situazione le stesse voci si facciamo sentire per moderare le scelte del governo e spingerlo a trovare una soluzione per gli ostaggi.