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di Davide Frattini

Corriere della Sera, 11 dicembre 2023

Netanyahu: “Arrendetevi, non morite per Sinwar”. Dura telefonata del premier con Putin. Per l’intelligence solo il 10-15% dei palestinesi catturati appartiene ad Hamas. Un sacco di farina costa 450 shekel, oltre 110 euro, lo zucchero è scomparso dai negozi e lo si compra al mercato nero, caffè, uova, biscotti sono lussi che nessuno si può permettere perché sono introvabili. L’autunno mediorientale non ha ancora portato il freddo più intenso, i palestinesi tagliano la legna dove la trovano - alberi o porte delle case distrutte - per bollire l’acqua. Oltre 1,8 milioni di sfollati interni sono scappati a sud lungo le vie di evacuazione ordinate dall’esercito israeliano, adesso premono verso Rafah e il confine con l’Egitto. Dove sopravvivono ammassati nelle tende. “Non c’è nulla da mangiare e siamo in 21 sotto i teli”, racconta Etimad Hassan all’agenzia Associated Press. I morti sono quasi 18 mila, un terzo di questi combattenti.

“È l’inferno sulla Terra”, denuncia Philippe Lazzarini che dirige l’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi. Il collasso negli ospedali e il cedimento progressivo del sistema fognario nei 65 giorni di guerra stanno causando il diffondersi di malattie. Ne sono consapevoli anche gli israeliani che hanno individuato virus nelle analisi del sangue degli ostaggi liberati dopo quasi due mesi di prigionia, avrebbero intaccato le falde acquifere. Un inferno di cui gli abitanti - racconta il corrispondente dell’Ansa dalla Striscia - cominciano ad accusare Hamas: “È lì che ci ha trascinato, finiremo con l’essere espulsi”.

I capi jihadisti dichiarano che “nessun altro sequestrato potrà tornare senza negoziati”, ne restano 137. Fonti militari israeliane - scrive il quotidiano Haaretz - ammettono che “la pressione bellica non è in grado di creare in questo momento le condizioni”, l’offensiva è concentrata su Khan Younis dove si nasconderebbe Yahya Sinwar, il boss di Hamas. “È finita, arrendetevi, non morite per lui”, proclama il premier Benjamin Netanyahu rivolgendosi ai paramilitari del gruppo. L’intelligence stima che dei palestinesi catturati - sui social media sono girate foto dei prigionieri in mutande - solo il 10-15% appartiene ad Hamas.

Il Qatar ripete di non aver abbandonato gli sforzi per una mediazione: i fondamentalisti hanno rilasciato 105 persone - portate via negli attacchi del 7 ottobre, 1.200 gli israeliani massacrati - in cambio della scarcerazione di quasi 300 donne e minori palestinesi detenuti, della pausa di una settimana nei combattimenti, dell’ingresso di 200 camion con aiuti militari. “I bombardamenti e l’offensiva riducono le nostre possibilità”, commenta Mohammed bin Abdelrahman Al-Thani, il primo ministro del piccolo regno sul Golfo.

In questi anni - come ricostruisce il New York Times - gli sceicchi hanno riversato miliardi di dollari all’organizzazione jihadista. Le valigie di contanti sono state consentite dal premier Benjamin Netanyahu: il leader della destra voleva mantenere le fazioni arabe divise - i fondamentalisti hanno tolto con un golpe il controllo di Gaza al presidente Abu Mazen - e rendere impossibili le trattative per la nascita di uno Stato palestinese.

Un’altra dottrina decennale che Bibi è stato costretto a ribaltare è quella dell’amicizia - come la definisce nell’autobiografia - con Vladimir Putin: durante una telefonata di un’ora ha espresso le lagnanze per le “posizioni anti-israeliane” e il totale disaccordo per la cooperazione russa con gli iraniani. Che complica il fronte a nord, dove Hezbollah dal Libano ha ferito numerosi soldati con un drone.