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di Nello Scavo

Avvenire, 8 febbraio 2024

Quando anche da fonti Usa veniva dato per imminente l’ok di Netanyahu all’accordo con Hamas, in serata il premier israeliano ha gelato ogni speranza, rifiutando come “delirante” la proposta di tregua nella guerra contro Hamas. “Siamo sulla strada della vittoria totale. La vittoria è a portata di mano”, ha dichiarato il primo ministro motivando la decisione, giunta dopo che in mattinata vi era stato uno scontro al calor bianco non appena si è appreso che il capo del governo stava per fornire un via libera di massima, senza aver prima consultato il gabinetto di guerra.

“Solo una vittoria totale ci permetterà di ripristinare la sicurezza in Israele, sia a nord che a sud”, ha detto Netanyahu aggiungendo che “Hamas non sopravviverà a Gaza”. I fondamentalisti avevano proposto un cessate il fuoco per quattro mesi e mezzo, durante i quali tutti gli ostaggi sarebbero stati rilasciati, Israele avrebbe ritirato le sue forze dalla Striscia in vista di un successivo accordo sulla fine della guerra.

“Il giorno dopo è il giorno dopo Hamas”, ha detto il premier in conferenza stampa, provocando le proteste del Forum delle famiglie degli ostaggi, che a questo punto temono sempre di più per la sorte dei loro 136 congiunti ancora nella Striscia. Nonostante le ultime notizie, una delegazione di Hamas, guidata dall’esponente dell’ufficio politico del gruppo Khalil al-Hayya, si recherà al Cairo per colloqui con i mediatori di Egitto e Qatar. Lo ha confermato Osama Hamadan, esponente di Hamas in Libano. Il sito di notizie israeliano Ynet, citando il giornale Al Araby Al Jadeed, ha riferito che nella capitale egiziana potrebbe giungere oggi il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, che per la prima volta lascerebbe il Qatar per partecipare personalmente alla mediazione.

Washington aveva presentato l’accordo sugli ostaggi e la tregua come parte di un piano per una più ampia risoluzione del conflitto mediorientale, che porti alla riconciliazione tra Israele e i vicini arabi e alla creazione di uno Stato palestinese. Netanyahu ha rifiutato alla radice l’ipotesi di un Stato palestinese mettendo in seria difficoltà, in un lungo faccia a faccia, l’inviato di Biden, il segretario di Stato Blinken, giunto per la quinta volta nell’area, ma senza ancora essere riuscito a ottenere alcun risultato decisivo.

Sami Abu Zuhri, un alto funzionario di Hamas, ha affermato che le dichiarazioni del premier israeliano dimostrano “una forma di spacconeria politica”, che indica la sua intenzione “di portare avanti il conflitto nella regione”, per cui Hamas è “pronto ad affrontare tutte le opzioni”.

Secondo alcune fonti diplomatiche a Tel Aviv, le parole di Netanyahu non devono ancora essere interpretate come definitive, perché il capo del governo e l’intero esecutivo non sopravvivrebbero politicamente se altri ostaggi non venissero salvati. Ad oggi nessuno dei prigionieri di Hamas è stato liberato nel corso della controffensiva militare, ma solo in seguito alla prima fase negoziale. Tra le due parti rimangono grandi distanze. Fonti vicine al gruppo fondamentalista hanno descritto come Hamas abbia adottato un nuovo approccio: proporre il termine del conflitto come una questione da risolvere nei futuri colloqui, anziché come una precondizione per la tregua.

La sorte dei civili nella Striscia è una preoccupazione costante anche per papa Francesco che ieri all’udienza generale ha rinnovato il suo appello per la pace in Medio Oriente e nel mondo. Il pontefice ha telefonato nuovamente al cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme, con cui ha parlato della difficile condizione della parrocchia cattolica della Sacra Famiglia a Gaza, dove si trovano oltre 600 sfollati.

“Secondo le stime delle nostre forze di sicurezza, fino al 60% degli aiuti umanitari inoltrati a Gaza finisce nelle mani di Hamas”, ha lamentato il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, in conferenza stampa. “Ho dato istruzione all’esercito di trovare soluzioni per impedire la cosa, o comunque per ridurla massimo”. In risposta a una domanda, il premier ha aggiunto di comprendere le proteste delle settimane scorse contro la consegna di aiuti a Gaza finché nella Striscia sono ancora tenuti prigionieri gli ostaggi israeliani. Secondo Netanyahu “aiuti umanitari minimi” per Gaza sono comunque necessari, “anche per consentire la prosecuzione della campagna militare”. Parole che preludono al momento che molti tra i negoziatori tentano di scongiurare: l’attacco su Rafah, la città della Striscia sul confine egiziano dove si è ammassata la gran parte dei rifugiati ai quali non è concessa alcuna via di fuga, stante la chiusura del confine con l’Egitto.

Lancia l’allarme il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, criticando le divisioni senza precedenti del Consiglio di Sicurezza, incapace di agire di fronte ai “terribili conflitti” che stanno aumentando. “Non è la prima volta che il Consiglio è diviso. Ma è la cosa peggiore, l’attuale disfunzione è più profonda e pericolosa”, ha avvertito presentando all’Assemblea generale le sue priorità per il 2024.

Guterres ha sottolineato che “i governi stanno ignorando e minando i principi stessi del multilateralismo, senza responsabilità. Il Consiglio di Sicurezza, il principale strumento per la pace nel mondo, è in un vicolo cieco a causa delle spaccature geopolitiche”. Criticando le divisioni senza precedenti del Cds, Guterres ha sottolineato che “durante la Guerra Fredda, meccanismi ben consolidati hanno contribuito a gestire le relazioni tra le superpotenze, ma nel mondo multipolare di oggi tali meccanismi sono assenti. Il nostro mondo sta entrando in un’era di caos”. E “vediamo i risultati: un pericoloso e imprevedibile tutti contro tutti, nella totale impunità”, ha denunciato ancora, dicendosi preoccupato per una nuova proliferazione nucleare e lo sviluppo di “nuovi mezzi per uccidersi a vicenda e per annientare l’umanità”. All’assemblea generale dell’Onu, Guterres ha messo in guardia da un attacco di terra israeliano a Rafah, che avrebbe “conseguenze regionali incalcolabili”.