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di Etgar Keret

Corriere della Sera, 7 aprile 2024

Hamas e la destra di Netanyahu concordano sul fatto che c’è spazio solo per una nazione. Qualche giorno fa ho seguito il monologo di apertura di Rami Malek al Saturday Night Live. Nel suo discorso, l’attore ha invocato la libertà per il popolo palestinese e la fine dei combattimenti, e gli astanti hanno risposto con un fragoroso applauso. Da israeliano scafato, ho giudicato il pubblico che esultava come un insieme di liberali filo-palestinesi di New York, ma subito dopo, quando Malek ha chiesto il rilascio immediato di tutti i rapiti, gli spettatori hanno applaudito altrettanto forte. E in quel momento mi sono reso conto che, a differenza della fin troppo chiara cronologia della mia pagina Facebook, che si divide in sostenitori e odiatori di Israele, il resto del genere umano è, principalmente, umano.

Quando vede una ragazza spaventata rapita a Gaza, vuole che venga rilasciata, e quando vede una famiglia palestinese affamata rannicchiata sotto un telo di plastica che piange per un lutto, vuole che questo dolore finisca. Lo so, molti si affretteranno a spiegarmi che non è possibile paragonare la sofferenza palestinese a quella israeliana o la sofferenza israeliana a quella palestinese, che c’è una parte che è colpevole e un’altra che semplicemente non ha altra scelta. Ma al di là di tutte le spiegazioni, che siano esposte con furore o meno, resta una verità: la sofferenza è sofferenza ed è umano volerle mettere fine, rapidamente.

Negli ultimi sei mesi mi sono sentito come se stessi rivivendo lo stesso giorno, mi risvegliavo ogni mattina come se fosse il 7 di ottobre. In televisione, senza soluzione di continuità vengono ritrasmessi atti di eroismo inimmaginabili e altre terribili atrocità, altre inchieste e altre testimonianze strazianti su quel terribile giorno, e il fatto che siano già passati sei mesi non mi allontana nemmeno di un millimetro da quel sabato. Cosa è cambiato da allora, con i rapiti ancora imprigionati a Gaza e il rumore degli elicotteri che evacuano i soldati feriti dal fronte all’ospedale, che continuano a rimbombare sopra la mia casa? Il governo si rifiuta di parlare del futuro. Per loro il 7 ottobre potrebbe durare all’infinito. Negli ultimi sei mesi, nulla è cambiato nella strategia, e questo governo incerto continua a prometterci una vaga “vittoria totale” invece di fissare obiettivi possibili e cercare di raggiungerli. Non dobbiamo parlare del “giorno dopo” per evitare di cancellare questa positività.

Da mesi ormai, secondo Gallant, Yahya Sinwar sente il rumore dei carri armati israeliani sopra il suo nascondiglio e, secondo Netanyahu, da mesi siamo a un giorno dall’ingresso via terra a Rafah. Questo governo ritiene che sia possibile continuare a fare vuote promesse mentre noi conviviamo nel caldo abbraccio di questo disastro senza fine. Qualsiasi discorso sul processo di ricostruzione di Gaza, qualsiasi passo verso un futuro più chiaro e stabile è un tabù, ma i progetti sulla rinascita dell’insediamento ebraico a Gush Katif e sul trasferimento volontario dei palestinesi in realtà vengono discussi liberamente alla Knesset e alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia. “Dopo quello che hanno fatto il 7 ottobre”, ha annunciato l’ufficio di Netanyahu, “è vietato regalare loro uno Stato”.

Allora ecco una piccola nota per l’ordine del giorno. Uno Stato non è qualcosa che si riceve in dono o come punizione, uno Stato è un diritto fondamentale di un popolo. Il massacro del 7 ottobre è stato orribile, ma il diritto umano fondamentale dei palestinesi a scegliere i propri leader e a controllare il proprio destino esiste ed è stato negato da più di cinquant’anni, ma non ha data di scadenza. Per negare ai palestinesi questo diritto, Netanyahu già anni fa ha sviluppato la dottrina che vede Hamas come una risorsa. In effetti, in termini di visione basica del mondo, c’è un completo accordo tra Hamas e la destra messianica che dà il tono al governo di Netanyahu: entrambe le parti concordano sul fatto che qui c’è spazio solo per una nazione, e l’unico dibattito tra loro è a quale nazione Dio avrebbe promesso questa terra e quale nazione è invece destinata ad abbandonarla. Per Netanyahu, Ben Gvir o Smotrich, Hamas è decine di volte migliore di un altro nemico palestinese, anch’esso crudele e determinato, ma disposto a scendere a compromessi su una soluzione a due Stati.

Io non sto preparandomi a lasciare la mia casa volontariamente, in tempi brevi, e sembra che anche i miei vicini palestinesi siano qui per restare. Nessuno qui ha fretta di rinunciare alla propria terra o alla propria libertà. E né Netanyahu né Sinwar saranno in grado di cambiare la situazione. L’unica cosa che può essere cambiata è questa leadership disastrosa che si rifiuta ostinatamente di affrontare il “giorno dopo” con una leadership diversa, stanca della realtà caotica in cui siamo stati trascinati, una leadership che non abbia paura di guidarci verso un nuovo domani.