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di Nello Del Gatto

La Stampa, 21 ottobre 2023

Slitta ancora l’apertura del valico di Rafah. Israele si prepara all’invasione di terra: “Stiamo arrivando”. Ci vorranno ancora uno-due giorni per permettere l’apertura del valico di Rafah agli aiuti umanitari che dovrebbero portare sollievo a Gaza. Lo ha ribadito ieri sera anche il presidente americano Joe Biden, dopo che le Nazioni Unite avevano dichiarato l’impossibilità di entrare soprattutto a causa delle condizioni del posto di confine. Il valico, infatti, è stato fatto oggetto di bombardamenti da parte israeliana e le vie di accesso sono in condizioni pietose, con molti crateri provocati dai colpi degli aerei. Per tutto il giorno, si è lavorato per rimuovere i blocchi di cemento messi per evitare il passaggio e riempire i buchi. I primi 20 camion dovrebbero quindi varcare entro due giorni il valico, oltre 100 quelli che aspettano, più di tremila tonnellate gli aiuti pronti a entrare a Gaza. “Questi - ha detto ieri il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres che ha visitato il valico di frontiera di Rafah tra l’Egitto e la Striscia di Gaza - non sono solo camion, ma un’ancora di salvezza. Sono la differenza tra la vita e la morte”.

Effettivamente ormai non si può più perdere tempo, la gente all’interno della Striscia è in condizioni disperate. Non c’è più acqua potabile tanto che molti usano l’acqua del mare. Ma non c’è nemmeno più cibo, pochi quelli che a stento riescono ad accaparrarsi qualche pugnetto di riso o del pane ormai secco. Molte panetterie che lavoravano ancora nei giorni scorsi sono state rase al suolo. L’ingresso degli aiuti quindi è vitale. In diverse zone del centro e del Sud si sono allestite tendopoli per ospitare gli sfollati.

Non c’è ancora alcun accordo sull’uscita né degli stranieri che lavorano per le organizzazioni internazionali e quelle non governative, né tantomeno per i palestinesi con doppia cittadinanza. Molti hanno trovato rifugio nelle sedi dell’Onu, altri dormono in macchina. Ed anche per loro sono finite le provviste. Tanti quelli che si sono accampati nei pressi del valico per tentare di uscire non appena c’è uno spiraglio di apertura. L’Egitto è stato chiaro: nessun palestinese da Gaza deve mettere piede nel Sinai.

Israele ha continuato sia nella sua azione di bombardamento che in quella di svuotamento della parte Nord della Striscia, attraverso avvisi a sfollare. L’esercito ha annunciato che l’offensiva che sta portando a Gaza è senza precedenti per l’intensità, mentre il ministro della difesa Gallant ha dichiarato che dopo la fase dei combattimenti e della stabilizzazione, ci sarà quella della realizzazione di un regime di sicurezza a Gaza, ribadendo quindi l’intenzione di spazzare via Hamas e aprire un nuovo capitolo per la Striscia. L’ordine di sfollamento è arrivato anche ad uno degli ospedali più grossi della Striscia, l’Al Quds di Gaza City, che, pur se lavora a scartamento ridotto per la mancanza di elettricità, combustibile, acqua, cibo e medicine, ospita oltre 10.000 profughi. Lo stesso ordine era stato dato per tre giorni consecutivi all’altro nosocomio, l’Al Ahli, il cui cortile è stato oggetto di una esplosione, un bombardamento non si sa ancora da parte di chi, che ha provocato diverse vittime.

Come per le responsabilità sull’ospedale, sta avvenendo in queste ore uno scambio di accuse tra Hamas e Israele per le 18 vittime alla chiesa greco-ortodossa di San Porfirio. Un proiettile israeliano aveva colpito un incrocio nei pressi della più antica chiesa di Gaza. La struttura ospitava centinaia di rifugiati. Il patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme ha parlato di un crimine di guerra perpetrato da Israele, il quale si è difeso in una dichiarazione ribadendo che la chiesa non era l’obiettivo dell’attacco, che invece era una struttura vicina, centro di comando e controllo di un terrorista di Hamas, coinvolto nel lancio di razzi e mortai verso Israele. L’esercito spiega che spesso il gruppo che controlla Gaza utilizza strutture civili o vicine a luoghi ritenuti intoccabili come ospedali, scuole o chiese, per questo aveva chiesto di evacuare la zona. Preoccupazione anche per la chiesa latina, non lontano.

“Nella chiesa - ha detto a TV2000 il patriarca di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa - si sono rifugiate 500 persone e temiamo anche per loro. Molti feriti che erano nel compound ortodosso ora sono venuti da noi perché non hanno un altro posto. Il rischio c’è perché sappiamo che la zona e il quartiere sono obiettivi militari. Gli avvertimenti sono arrivati”. Nonostante le richieste israeliane di sfollare, nessuno, ha detto il cardinale, vuole lasciare la chiesa, “perché dicono che nessun luogo nella Striscia di Gaza è al sicuro”.

Restano molto caldi anche gli altri fronti. Dal Libano sono piovuti oltre 30 razzi, con l’esercito israeliano che ha risposto e ha evacuato molte città dal confine. Nei paesi limitrofi e nei territori si attendono grosse manifestazioni per ieri, al terzo giorno di lutto per le vittime dell’attacco all’ospedale e per la chiamata alle armi di Hamas. Migliaia in piazza in Egitto e in Giordania.