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di Paolo Vites

ilsussidiario.net, 6 maggio 2022

Intervista a Frank Cimini. Giovanni Melillo, attuale procuratore capo di Napoli, è il nuovo procuratore nazionale anti mafia e anti terrorismo. È stato nominato dal plenum del Csm a maggioranza, con 13 voti a favore. Il grande favorito, Nicola Gratteri, capo della procura di Catanzaro, ne ha ottenuti 7, mentre sono stati 5 i voti a favore di Giovanni Russo, procuratore aggiunto alla Direzione nazionale antimafia (Dna).

Il primo dato che va sottolineato, come ci ha detto Frank Cimini, giornalista già al Manifesto, Mattino, Apcom, Tmnews e attualmente autore del blog giustiziami.it è che “essendo Melillo appartenente a Magistratura democratica, la corrente che ha dominato il mondo della magistratura per anni si trova adesso ad aver perso la terza procura nel giro di pochissimo tempo dopo Roma e Milano, le tre procure più importanti d’Italia”. Il secondo dato è che Gratteri, che Cimini definisce “un procuratore mediatico”, non riesce a ottenere l’incarico a cui puntava fortemente: “Le inchieste di Gratteri sono passate alla storia per la loro inconcludenza. Annunciate in pompa magna, con l’uso disinvolto della custodia cautelare, si sono sempre sgonfiate con dei nulla di fatto”.

Che significato ha la poltrona di capo della Direzione nazionale antimafia?

È certamente l’incarico più prestigioso in Italia per un magistrato, ma va detto che in termini concreti vale molto di meno dell’essere a capo della procura di una grande città.

Perché?

La Dna non fa indagini sul campo, fa supervisione. Il vertice di una grande procura è più operativo.

Melillo lascia Napoli. Cosa sappiamo di lui?

Lascia Napoli perché evidentemente voleva un incarico di grande prestigio, ma quello che va detto, appartenendo lui a Magistratura democratica, è che la sua corrente perde in questo modo la terza grande procura in poco tempo, dopo Milano e Roma. È un segno dei tempi, di un cambiamento e di una perdita di potere.

Si sono sentite lamentele di alto livello per la bocciatura di Gratteri, considerato un magistrato in prima fila nella lotta alla mafia, addirittura paragonando questa mancata elezione a quando nel 1988 Antonio Meli venne preferito a Giovanni Falcone. Sono lamentele giustificate?

Sono lamentele del solito giro di magistrati. Gratteri è uno che fa grandi retate, peccato che quindici giorni dopo il Tribunale del riesame rilasci la metà delle persone che ha fatto arrestare. Fa conferenze stampa in pompa magna quando conclude un’indagine, tutti i giornali nazionali ne parlano, ma quando i fermati vengono rilasciati trovi qualche riga solo sui giornali calabresi. Questo non vale solo per lui, ma è evidente come ci sia una responsabilità mediatica: i media vanno dietro agli scoop delle procure ma non seguono gli sviluppi. Non è successo una volta sola con Gratteri, si ripete a ogni retata che fa.

Come si spiega?

Si spiega con il fatto che Gratteri è un Pm molto mediatico, che usa i giornali quando fa queste operazioni in cui c’è sempre un evidente abuso della custodia cautelare, di reati associativi e concorso esterno. Poi il reato associativo cade e le cose finiscono lì. Non c’è spirito critico nei giornali, se ne fregano di seguire gli sviluppi ulteriori.

Dipende dal fatto che ormai, da tempo, le maggiori attività mafiose si sono spostate nel Nord Italia?

La mafia è ovunque, non è un problema solo delle regioni del Sud. Il problema è come si cerca di far fronte a questo. Non voglio dire che sia solo responsabilità della magistratura, il vero problema è la politica. Sono reati che avvengono in certi contesti. La mafia sfrutta tutte le contraddizioni della società italiana. Al Nord girano una sacco di soldi, al Sud manca il lavoro e la gente è quasi alla fame. La mafia stessa è ormai un soggetto politico ma non nel senso che prende ordini dalla politica, ma che agisce per il proprio potere.

Siamo invece ancora fermi a teoremi che si sono dimostrati inconsistenti, tipo le stragi mafiose commissionate dalla politica, è questo che intendi?

Esatto, un sacco di bufale inconsistenti. Come dire che Berlusconi e Dell’Utri hanno ordinato alla mafia le stragi. Quale sarebbe stato il movente? Sono anni che va avanti questa ossessione. Ad esempio il caso del falso pentito Scarantino, che si era autoaccusato dell’omicidio di Paolo Borsellino senza neanche sapere chi fosse e che non conosceva neppure via D’Amelio. In questo episodio ci sono responsabilità precise di magistrati mai individuati.

Non se ne è quasi parlato...

Sono storie terrificanti che hanno zero spazio sui giornali. Questo falso pentito ha fatto dare ergastoli a gente che non c’entrava niente. La credibilità di Scarantino fu difesa da Gian Carlo Caselli ma nessuno gliene chiede conto. Intanto continua a scrivere sui giornali e a vantarsi.