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di Paolo Pandolfini

Il Riformista, 14 marzo 2024

Vertice a Palazzo Chigi per smentire il gelo e dare il segnale di un’accelerazione, ma di fatto l’iniziativa della premier vale un commissariamento dopo lo stop sui dossier alla commissione proposta dal ministro. Carlo Nordio e Giorgia Meloni sono separati in casa o si tratta solo di un eccesso di dietrologia giornalistica? Che i rapporti fra i due si siano ultimamente raffreddati è però un fatto concreto. La prova è stata la sortita di Nordio sulla istituzione della Commissione d’inchiesta sul dossieraggio di Pasquale Striano in un momento in cui è già al lavoro la Commissione antimafia. Una proposta, quella di istituire una Commissione d’inchiesta, che peraltro non era stata preventivante condivisa con la stessa premier, gli alleati, il Quirinale, e che secondo indiscrezioni avrebbe trovato sponda nella vice capo di gabinetto Giusi Bartolozzi che da tempo avrebbe l’ultima parola su tutti i dossier più scottanti a via Arenula. A parte ciò, dopo quasi un anno e mezzo dall’insediamento del governo Meloni il bilancio in materia giustizia è quanto mai insoddisfacente. Il Guardasigilli, ex procuratore aggiunto di Venezia e fortemente voluto dalla premier a via Arenula, non è riuscito ancora a far approvare mezza riforma. La totalità dei provvedimenti sulla giustizia che hanno avuto il via libera in questo primo scorcio di legislatura sono infatti il frutto del lavoro del Ministero dell’interno retto da Matteo Piantedosi: dal decreto “Rave”, al decreto “Cutro”, al decreto “Caivano”.

Tutti provvedimenti che, peraltro, vanno contro le idee liberali di Nordio, prevedendo generalizzati aumenti di pena e la creazione di nuove fattispecie di reato. Il ddl 808, intitolato pomposamente “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare”, meglio noto come “riforma Nordio”, dopo una interminabile discussione è stato approvato il mese scorso al Senato ed è in attesa di essere votato, si spera senza stravolgimenti, alla Camera. Il teso prevede l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, una modifica a quello del traffico d’influenze, una stretta sulle misure cautelare e, in alcuni casi, il divieto per il pm di appellare le sentenze di assoluzione. Poca cosa se si considera che la parte riguardante le misure cautelari, con l’introduzione del giudice collegiale, andrà in vigore solamente quando sarà a regime l’aumento della pianta organica dei magistrati. Quindi almeno fra quattro o cinque anni, considerando i tempi necessari per l’espletamento dei concorsi in magistratura.

Il ritardo è palese. Anche perchè il ddl 808, sulla carta, dovrebbe costituire il primo pezzo del progetto riformatore voluto da Nordio finalizzato a ridisegnare, entro la fine della legislatura, la giustizia nel Paese, con un approccio rispettoso dei diritti e delle garanzie. Via Arenula in questo anno e mezzo ha dunque prodotto pochissimo. Leggendo attentamente i testi in materia di giustizia che sono in discussione alle Camere, si scopre infatti che si tratta di provvedimenti di iniziativa parlamentare: dalle modifiche in tema di sequestro degli smartphone, all’utilizzo del trojan, al divieto di intercettare gli avvocati, alla riforma della presunzione d’innocenza con il divieto di pubblicare le ordinanze di custodia cautelare. La stessa riforma della prescrizione è un provvedimento di iniziativa parlamentare. Se il Parlamento è molto attivo a differenza del Ministero della giustizia, quest’ultimo è invece accusato di ‘annacquare’ le riforme volute da ministra Marta Cartabia, che erano state approvate nella scorsa legislatura, con i previsti pareri sui decreti legislativi.

Ad esempio, sui magistrati fuori ruolo che dovevano essere diminuiti dagli attuali 200. Nordio ha fissato il loro numero a 180 ma non devono essere conteggiati quelli presso gli organi costituzionali, come le Camere, la presidenza della Repubblica, la Corte costituzionale. E comunque tutto va rinviato alla prossima legislatura in quanto fino al 2026 le toghe fuori ruolo sono impegnate nella realizzazione del Pnrr. Altro ‘annacquamento’, poi, il fascicolo per la valutazione del magistrato, con la previsione di un controllo solo a campione dell’esito dei provvedimenti giurisdizionali. Su grandi temi, come quello del sovraffollamento delle carceri con il dramma dei suicidi, Nordio continua a ripetere che bisogna costruirne di nuove e di utilizzare le caserme dismesse. Progetti non se ne vedono e anche il ripristino delle caserme dismesse non è di facile realizzazione.

La quasi totalità di esse si trova al Nord, nelle zone di confine come il Friuli dove durante il periodo della guerra fredda decine di migliaia di soldati erano schierati a difesa di un eventuale invasione dalla Jugoslavia. Il problema principale di Nordio è quello di essere un tecnico in un governo politico che vede al suo interno tutti i capi dei partiti di maggioranza ed i loro rappresentanti più in vista. Non essendo un politico, Nordio in questi mesi si è affidato alle persone che conosce e con cui ha rapporti consolidati di stima. Ad iniziare proprio da Giusi Bartolozzi, magistrata siciliana che nella scorsa legislatura era stata eletta alla Camera con Forza Italia prima di andarsene dopo uno scontro con i colleghi di partito in Commissione giustizia. Oltre ad essere sui dossier più importanti, influenzando anche le scelte sull’organizzazione del Ministero avvalendosi di magistrati a lei vicini, Bartolozzi accompagna spesso Nordio a tutti gli eventi pubblici e partecipa agli incontri con i vertici della struttura. Un attivismo che avrebbe avuto la conseguenza di far fare un passo indietro a molti collaboratori di prima fascia di Nordio.

Il primo ad abbandonare il dicastero è stato il capo di gabinetto Alberto Rizzo, in passato presidente del Tribunale di Vicenza. Rizzo nei giorni scorsi ha rassegnato le dimissioni, chiedendo di essere rimesso in ruolo. Magistrato da tutti riconosciuto per essere un grande organizzatore, a Vicenza aveva rimesso in piedi un tribunale disastrato, ricevendo il plauso, fatto molto raro, dell’intera avvocatura. In due anni, dopo 115 udienze, Rizzo aveva portato a termine il maxi processo per il crac della Banca popolare di Vicenza, con oltre 5000 parti civili. Al Ministero, in pochi mesi, era riuscito a stipulare per la prima volta accordi con le amministrazioni locali finalizzati allo scorrimento delle graduatorie dei concorsi per gli amministrativi, in modo da sopperire, ad esempio in Veneto, alla cronica carenza di personale. Nordio al suo posto vorrebbe ora promuovere proprio la sua vice ma l’idea è stata subito stroncata da Palazzo Chigi che vorrebbe una figura meno divisiva. Nessun magistrato però pare abbia intenzione di fare la fine di Rizzo, pur essendo il posto di capo di gabinetto molto ambito.

Sullo sfondo, comunque, ci sono le prossime elezioni europee ed il quasi sicuro rimpasto di governo alla luce di quelli che saranno i mutati rapporti di forza all’interno della compagine di governo. Cosa accadrà è presto per dirlo. In un rimpasto la prima casella potrebbe essere quella di via Arenula. Per quel posto si fa già il nome del vice ministro Francesco Paolo Sisto, oppure di Alfredo Mantovano. Il nome di Sisto, avvocato molto stimato, era comunque già stato fatto in passato prima che Meloni si impuntasse su Nordio. Sisto dalla sua parte ha la padronanza della macchina ministeriale, essendo stato sottosegretario nella scorsa legislatura. Ha poi ottimi rapporti con i magistrati e con la categoria forense. Mantovano, invece, godrebbe della piena fiducia della premier. Certamente Meloni ha bisogno di una figura che si concentri sui dossier e porti a casa qualche risultato. Ieri la premier ha annunciato di voler accelerare sulla separazione di carriere. Sul punto c’è stata una riunione lunedì scorso a Palazzo Chigi alla quale hanno partecipato anche esponenti della maggioranza: è da intendersi come la risposta del governo alle voci di un gelo tra la premier e il guardasigilli. Sulla giustizia, hanno fatto sapere fonti di Palazzo Chigi, ci sarebbe “perfetta sinergia”.

Ma l’isolamento di Nordio è sotto gli occhi di tutti. Il tempo per questa riforma se non è scaduto, poco ci manca. trattandosi di una riforma costituzionale, deve essere messa in cantiere all’inizio della legislatura in quanto serve un doppio voto parlamentare a distanza di almeno sei mesi e, se non si raggiunge la maggioranza assoluta, c’è poi bisogno di un referendum costituzionale. Ieri, comunque, Nordio ha fatto un nuovo scivolone, affermando che il Ministero della giustizia è importante nella forma e non gradito nella sostanza, avendo poche risorse. Immediata la polemica politica da parte della responsabile giustizia del Pd Debora Serracchiani che ha chiesto alla premier di chiarire il senso delle parole di Nordio. In serata è arrivata una dichiarazione dello stesso in cui affermava di essere stato travisato.