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di Giovanbattista Tona

Il Sole 24 Ore, 10 luglio 2023

Se il processo è approdato in Cassazione l’imputato non può chiedere la messa alla prova nemmeno quando, per il reato di cui deve rispondere, l’entrata in vigore della riforma Cartabia della giustizia penale rende ammissibile il beneficio che fino al 30 dicembre 2022 era precluso. Con la sentenza 23954 del 5 giugno scorso la Terza sezione della Cassazione chiude le porte a ogni ipotesi di retroattività delle modifiche della disciplina della messa alla prova introdotte con il decreto legislativo 150 del 2022, più favorevoli agli imputati perché consentono di ottenere la dichiarazione di estinzione del reato in caso di buon esito della prova per diverse altre fattispecie punite con pena edittale massima entro i sei anni.

Messa alla prova “parziale” - La questione esaminata dai giudici di legittimità si intrecciava con un’altra, pure relativa all’istituto introdotto nel processo penale dalla legge 67 del 2014, in un’ipotesi in cui l’amministratore di una società era stato tratto a giudizio nel 2018 per diverse violazioni tributarie. Gli si contestavano l’omesso versamento di ritenute dovute o certificate e la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, che gli articoli 10-bis e 11 del decreto legislativo 74 del 2000 sanzionano con pena massima pari o inferiore a quattro anni di reclusione e che pertanto rientravano nella categoria dei reati per i quali già allora l’articolo 168-bis del Codice penale consentiva di richiedere la messa alla prova; nella contestazione, però, vi era anche il delitto di omessa dichiarazione al fine di evadere le imposte, per il quale non si poteva avanzare analoga richiesta perché l’articolo 5 del decreto legislativo 74 del 2000 prevede la pena massima di cinque anni di reclusione. L’imputato aveva quindi chiesto una messa alla prova “parziale” solo per i primi due reati, se del caso anche disponendo la separazione del giudizio per il terzo reato. Il giudice di primo grado aveva dichiarato inammissibile l’istanza e l’imputato aveva impugnato la decisione, lamentando di aver subito una preclusione non prevista dalla legge, in insanabile contrasto con la finalità rieducativa della pena.

La decisione di secondo grado - Ma la Corte d’appello aveva confermato la pronuncia di primo grado, ricordando che già la Cassazione aveva ritenuto inammissibile l’accesso al beneficio nel caso di procedimenti aventi ad oggetto anche reati diversi da quelli previsti dall’articolo 168-bis del Codice penale, in quanto la definizione parziale è in contrasto con la finalità deflattiva dell’istituto e con la prognosi positiva di risocializzazione che ne costituisce la ragione fondante, proprio per la valenza ostativa della contestazione dei più gravi e connessi reati per i quali la causa estintiva non può operare. Né si potrebbe richiedere la messa alla prova previa separazione dei procedimenti, poiché l’articolo 18 del Codice di procedura penale non prevede la possibilità di procedere alla separazione in funzione strumentale rispetto all’accesso a riti differenziati (Cassazione 24707 del 2021). L’imputato, con il ricorso per cassazione, aveva ancora insistito nella sua tesi, chiedendo ai giudici di legittimità di rivedere il loro stesso orientamento e contestando in particolare che la messa alla prova dovesse necessariamente perseguire una “rieducazione totalizzante”.

Dopo la riforma - Nel frattempo, il decreto legislativo 150/2022, entrato in vigore il 30 dicembre 2022, ha modificato l’articolo 168-bis del Codice penale che consente la messa alla prova anche “per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del Codice di procedura penale”, tra i quali alla lettera g) è ora inserito il reato previsto dall’articolo 5, commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo 74 del 2000. Quindi, con la nuova disciplina, nessuno dei reati contestati sarebbe stato ostativo al beneficio.

Ma la Cassazione ha richiamato la sua stessa giurisprudenza formatasi sui processi in corso quando è stato introdotto ex novo l’istituto e ha ribadito che il beneficio dell’estinzione del reato, connesso all’esito positivo della prova, presuppone lo svolgimento di un “iter” processuale alternativo alla celebrazione del giudizio. E per questo non può essere richiesto per la prima volta al giudice di legittimità, nemmeno se la legge anteriore non lo prevedeva.