sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Carla Chiappini*

Ristretti Orizzonti, 15 ottobre 2022

Tutto ciò che attiene all’umano, si sa, è caratterizzato da infinite contraddizioni e il mondo della giustizia non ne è in alcun modo immune.

Basti pensare all’idea largamente accettata che, per costruire progetti di “rieducazione” all’interno dei percorsi penali sia in carcere che fuori, sia del tutto congrua una laurea in Giurisprudenza che nulla ha a che fare con le questioni che possono riferirsi allo sviluppo umano o alla formazione degli adulti.

L’orizzonte della rieducazione si restringe, dunque, all’interno delle norme giuridiche, senza alcun respiro e alcuna seria capacità progettuale. Evidentemente la formazione o rieducazione delle persone condannate è un impegno del tutto formale. D’altro canto nessun laureato in pedagogia, psicologia, filosofia, antropologia si sognerebbe mai di “invadere” il campo delle scienze giuridiche. Così è; non è difficile trarne le conclusioni.

Identiche e, a mio avviso, altrettanto se non più gravi contraddizioni le incontriamo nell’ambito della messa alla prova. Presentata come grande innovazione (e in effetti la è) offre notevoli spunti di riflessione già sul piano strettamente giuridico su cui non mi sento di discettare per dichiarata e manifesta incompetenza ma sono certa di poter affermare che, dal punto di vista della cultura della pena, esprime una concezione molto vecchia e generalmente superata di castigo, di punizione. So bene che di pena non si tratta ma di obbligo certamente sì, un obbligo legato a un’imputazione di reato. Questo è.

Il lavoro di pubblica utilità, nella formulazione della legge n. 67 del 2014 è un lavoro meramente fisico, manuale, faticoso. Ovviamente gratuito ma completamente privo di proposte riflessive e formative. Come se la consapevolezza del proprio comportamento illegale derivasse alla persona imputata esclusivamente dal sudore della fronte.

Questa concezione cozza pesantemente con la speranza che la messa alla prova possa avere un contenuto di prevenzione ed esprime una concezione pedagogica davvero superata e un po’ ingenua.

Da anni, in accordo con il Tribunale di Piacenza, con il CSV Emilia e con l’UDEPE di Reggio Emilia la nostra associazione “Verso Itaca APS” porta avanti un progetto - che ormai non può più dirsi sperimentale - di accoglienza di persone messe alla prova e/o in esecuzione penale extra - muraria che si impegnano a scrivere di sé con una ben precisa metodologia mutuata dalla Libera Università dell’Autobiografia, a condividere la propria esperienza di vita, le riflessioni e gli apprendimenti che da questa esperienza sono riuscite a estrarre e a renderli disponibili sia su pubblicazioni che in occasione di testimonianze pubbliche.

In realtà anche la nostra associazione - pur non essendo imputata di reati - svolge gratuitamente, per libera scelta e per convinzione, un “lavoro di pubblica utilità”, accompagnando queste persone in un viaggio di ricerca interiore, di ascolto e di consapevolezza. Il senso del nostro volontariato in questo preciso ambito della giustizia penale ci viene restituito da chi lo ha incontrato e vissuto insieme a noi. Non tutti e non sempre ma abbastanza spesso da farci ritenere che ne valga la pena nonostante la fatica e la responsabilità. E nonostante il sovraccarico degli uffici di Esecuzione penale esterna che rende impossibile quel confronto così utile e generativo dei primi tempi, tanto da farci pensare che, probabilmente, accanto al sovraffollamento infinitamente più doloroso delle carceri, si possa ora purtroppo parlare di un sovraffollamento o meglio di un sovraccarico dell’area penale esterna che sempre più spesso ci chiede discutibili adempimenti di natura burocratica. Relazioni scritte al volo, senza dichiarare nessun criterio e nessun punto di vista, giusto per arrivare in tempo per l’udienza conclusiva. Una giustizia formale, fatta di norme, prescrizioni, numeri che non soddisfa nessuna esigenza di maturazione e crescita personale.

Lorenzo ha finito la sua messa alla prova due anni fa e, dopo un avvio non semplice, strada facendo, è diventato risorsa e riferimento per tutti noi. Questi sono i suoi saluti:

“Credo che il riassunto in modo oggettivo di questa avventura sia “famiglia di sconosciuti” proprio, che a leggerla così, parrebbe un ossimoro ma trovo sia bellissimo.

È stato un anno in cui le prime volte, finita la “riunione” tornavo a casa con sempre più domande, poi ad un certo punto credo forse anche la moltitudine di esse, mi ha fatto scattare la molla di DOVER riuscire a trovare le risposte a tutte queste domande.

Ovviamente non sono riuscito a trovarle tutte, altrimenti credo potrei scriverci un libro, ma ho più consapevolezza in quello che dico/penso/faccio e la cosa mi ha davvero stupito in quanto non avrei mai immaginato una cosa simile.

Invece il riassunto soggettivo assomiglia più ad un “ho imparato qualcosa” e credo che nella vita sia la base di tutto”.

Non è mai molto elegante parlare di sé e delle proprie attività ma credo che condividere riflessioni ed esperienze sia invece un gesto utile e sensato. Per cui mi sono concessa ancora una volta di scrivere che ci possono essere altre strade, altre possibilità un po’ più stimolanti per riempire di contenuti anche la messa alla prova.

*Giornalista, esperta di scrittura autobiografica