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di Fabrizio Bertè

La Repubblica, 29 novembre 2024

Ivan Lauria aveva 28 anni, sul corpo riscontrati ematomi e profonde ferite da taglio. “Non riesco a darmi pace. Voglio sapere come ha perso la vita mio figlio”. Il messinese Ivan Lauria è morto a 28 anni nel carcere di Catanzaro. Aveva diversi ematomi e varie e profonde ferite da taglio ma il referto parlava di “uso inveterato di sostanze stupefacenti e abuso di alcolici come conseguenza di un arresto cardiaco”. La madre del giovane non aveva notizie del figlio dallo scorso 2 novembre e non sapeva neanche che Ivan fosse stato trasferito nel carcere “Ugo Caridi” di Catanzaro: “Nessuno mi aveva avvisata - racconta Michela Lauria - Ivan era stato in carcere a Messina, a Giarre, a Palermo, a Trapani e a Rossano e dunque sempre più distante da me e mai in strutture adeguate alle sue patologie nonostante le richieste del mio avvocato Pietro Ruggeri.

Quando mi hanno telefonato per dirmi che mio figlio non c’era più mi è crollato il mondo addosso e non ho capito più niente. Mi hanno detto che alle 21.17 di venerdì 15 novembre aveva avuto un arresto cardiaco e solo grazie ai consigli del mio avvocato ho avuto la lucidità e il sangue freddo di fare 60 fotografie per documentare gli ematomi e le ferite che c’erano sul suo corpo. Voglio capire cos’è successo dal 2 novembre al giorno della sua morte e voglio sapere com’è morto mio figlio e perché il suo corpo era in quelle condizioni”.

La procura di Catanzaro ha aperto un fascicolo e il caso di Ivan è agli atti anche dell’inchiesta sul carcere di Trapani. Il suo nome compare infatti tra quelli citati dall’associazione “Nessuno tocchi Caino” che aveva chiesto la chiusura del “reparto blu” della casa circondariale “Pietro Cerulli” di Trapani: la sezione riservata all’isolamento e ai detenuti con problemi psichiatrici e piscologici in cui un anno e mezzo fa Ivan aveva anche tentato il suicidio: “Non abbiamo avuto affatto una vita semplice - conclude Michela - L’unica differenza tra Ivan e un cosiddetto ragazzo normale? Solo il caso. E lui più di altri aveva bisogno di essere accudito, aiutato e sostenuto. Adesso pretendo chiarezza e voglio sapere com’è morto mio figlio. Ivan era un ragazzo fragile, non stava bene e aveva commesso degli errori. Ma non doveva fare questa fine”.

Ivan avrebbe dovuto scontare pene per un totale di 11 anni, 2 mesi e 21 giorni. Era tossicodipendente e invalido civile al 75% con gravi problemi di salute mentale accertati anche dai consulenti d’ufficio nominati nel corso dei vari procedimenti. Innumerevoli le richieste di avvicinamento in carceri in cui la madre, che era stata nominata sua amministratrice di sostegno, avrebbe potuto più facilmente accudirlo. Richieste mai prese in considerazione così come le richieste di sistemare Ivan in una struttura più adeguata alla cura delle gravi patologie del ragazzo tra l’altro avallate e richieste anche dall’Asp di Trapani e dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria della casa circondariale di Trapani.

Numerose anche le istanze fatte al ministero di giustizia e al Dap: “Ivan era un ragazzo problematico ma proprio per questo doveva essere accudito, aiutato e seguito - spiega - L’ho cresciuto da sola. A 14 anni il primo furto e lo hanno portato in una comunità: ricordo ancora che per giustificarsi mi diceva che non voleva chiedermi 5 euro perché facevo già troppi sacrifici. Da quel momento non è più riuscito a riprendersi. Usciva dal carcere, rubava e ci tornava. Ma il colpo di grazia è stato l’incontro con la droga. Io non lo vedevo mai perché viveva più in carcere che a casa ma speravo che proprio in carcere lo avrebbero potuto aiutare. Mi adorava ma ho capito che non era più in sé e che la droga lo aveva divorato quando una notte è scappato di casa in evidente stato di alterazione: si era arrampicato su una casetta aggrappandosi ai fili della luce e aveva rischiato di morire. Gli è stato fatto un Tso e da quel momento non è mai più stato lo stesso sino ad arrivare alla morte”.