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di Alfio Sciacca

Corriere della Sera, 23 dicembre 2023

Antonella Zarri: “In una chiara visione patriarcale le colpe sono solo della madre. Ma il vero obiettivo è smontare l’altra indagine sul centro di salute mentale e i poliziotti”. “Dopo un processo non sano non mi aspettavo altro che motivazioni costruite attorno a un teorema pregiudiziale. È un giudizio morale sulla mia persona, ma è anche un chiaro tentativo di isolarmi. Forse perché sono la più attiva nel denunciare e tenere viva la memoria”.

È più combattiva che mai Antonella Zarri, la mamma di Alice Scagni, uccisa dal fratello Alberto il primo maggio 2022. Nelle motivazioni della sentenza che ha condannato Alberto a 24 anni e 6 mesi la Corte d’Assise di Genova ritiene che la sua pericolosità è risultata chiara solo dopo l’ultima telefonata di minacce al padre, la mattina del delitto. Dunque non avrebbero fondamento le denunce dei genitori che accusano il centro di salute mentale e le forze dell’ordine di avere sottovalutato i rischi, nonostante i loro ripetuti allarmi.

Non solo. L’atteggiamento della madre viene definito “ambivalente”, in quanto, a fronte degli allarmi di quei giorni, per un decennio non aveva mai denunciato il figlio. “È chiaro che tutto ciò serve a spianare la strada all’archiviazione nell’altra indagine sulle responsabilità di chi ha sottovaluto e non ha fatto nulla per salvare Alice”.

Sente di avere avuto una “condotta ambivalente” nei confronti di Alberto?

“Noto che, in una chiara visione patriarcale, le colpe sono solo e sempre della madre. Ma detto ciò, il vero obiettivo è indebolire me per smontare l’altra inchiesta (l’8 febbraio i giudici decideranno sulla richiesta di archiviazione del pm per i responsabili del centro di salute mentale e per due agenti, ndr). Forse perché faccio un po’ paura”.

Pensa proprio che l’abbiano presa di mira?

“Le dirò di più. Questo concetto dell’ambivalenza è stato mutuato da una valutazione fatta proprio dalla responsabile del centro di salute mentale che poi è una delle persone che abbiamo denunciato e che è indagata. Nel 2023, quando andammo per Alberto, nella scheda lei scrisse proprio così: “madre ambivalente”. Una sorta di perizia psichiatrica su di me”.

I giudici dicono che per anni lei non lo ha denunciato?

“Nelle motivazioni scrivono anche che Alberto abitava con noi e andava nella sua casa solo per dormire. E invece lui abitava da solo da quando aveva 18 anni. Un errore palese. Ma chiedo: come fai a imporre di curarsi a un 43enne che non vuole farlo? Con quali strumenti? Forse solo con un Tso o con la detenzione. E per quali motivazioni? La verità è che ci accusano di essere stati dei cattivi genitori per escludere le responsabilità di altri. Il problema della salute mentale di Alberto era solo un problema nostro”.

Anche lei pensa, come il suo legale, che siamo di fronte ad una vittimizzazione secondaria?

“Certo. È sempre così, quando lo Stato fallisce nella prevenzione di un crimine la colpa è della vittima che si è esposta. Esattamente come per i femminicidi”.

Però nelle motivazioni si dice anche che l’allarme dato la mattina alle forze dell’ordine venne sottovalutato.

“Su questo era un po’ difficile nascondere che nessuno si mosse dopo le telefonate a poche ore dal delitto”.

Alberto come sta?

“Appena meglio. Non è più un vegetale, ma si muove e si nutre ancora con grande difficoltà. È sempre fuori di testa, ma nessuno lo cura e lo curerà per il resto della sua vita”.

Siete andati a trovarlo?

“Sì, quando era intubato e e anche dopo. Non credo sia più recuperabile, se non in strutture adeguate. Da solo non ne può uscire. Neanche con l’amore materno potrei fare i miracoli che pensano i giudici. Davanti alla malattia mentale non c’è alternativa: va curata. In carcere è già tanto che non lo ammazzano. Ma di lui a chi vuole che importi?”.