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di Paolo Lambruschi

Avvenire, 24 marzo 2024

Sulla statale per Udine l’ex caserma è divisa in due. Una rinchiude i drammi del Cpr, con le fughe continue e i tentativi di suicidio a volte riusciti dei circa 80 detenuti disperati in attesa di rimpatrio. A fianco le speranze dei circa 700 ospiti del Cara, centro accoglienza per richiedenti asilo, dove si esce e si gira fino alle 21. Ma girano anche in infradito di inverno, estranei al luogo che li ospita. E chi non riesce a trovare posto, nonostante l’appuntamento per il colloquio, attende davanti alla parrocchia dove con 60 volontari don Gilberto Dudine ha aperto un dormitorio per i mesi freddi. Sono pachistani, bangladesci, siriani in arrivo dalla rotta balcanica.

Quelli che non proseguo - no e chiedono asilo. Il malcontento nella cittadina di questa terra bisiaca, che vive forti tensioni con i lavoratori musulmani bangla dei cantieri navali, è in crescita. Gradisca d’Isonzo, nemmeno 7mila anime, si ritrova a convivere con un popolo che in percentuale arriva al 10% della popolazione. Un caso nazionale. “Abbiamo chiesto invano la chiusura dei due centri al Viminale - ribadisce la sindaca Linda Tomasinsig, il cui secondo mandato alla guida di una giunta di centrosinistra scade a giugno - perché la situazione ha superato i limiti tra fughe dal Cpr, tentativi di suicidio, rivolte soprattutto di tunisini il cui paese accetta i rimpatri”. Per gli altri ci sono fino a 18 mesi di detenzione prima di venire rilasciati con un decreto di espulsione. “Siamo stati lasciati soli dallo Stato - prosegue la sindaca - Cpr di Gradisca è un hub per i trasferimenti, vengono portate qui le persone in attesa di rimpatrio”.

Quindi spesso pronte a tutto per disperazione. “Tenga conto - aggiunge Tomasinsig - che si tratta di una ex caserma dismessa dagli anni 90 con strutture mai ammodernate, dove non c’è un luogo ove mangiare insieme. Per non dire della carenza di personale. Le condizioni del trattenimento sono ai limiti della dignità umana e gli operatori lavorano con grande difficoltà. Ne abbiamo chiesto la chiusura anche perché non crediamo in queste strutture sottoutilizzate. Se ci sono 70 persone su una capienza di 150 perché tenerle lì?”.

Il Cara risente invece dei tagli ed è reduce dal sovraffollamento invernale, dovuto alle lentezze dei trasferimenti. “Sono parcheggiati li per molti mesi senza poter fare altro che mangiare o dormire in attesa di ottenere risposta alla domanda. Noi crediamo che sia meglio chiuderlo e puntare sull’accoglienza diffusa”. Ma non è la linea del governo né della Regione, dove il presidente Fedriga la giudica un fallimento e chiede centri con numeri “sostenibili’: Ma Gradisca si è trovata con le persone a dormire in strada in attesa di entrare nel grande centro sovraffollato. Non lontano, nella parrocchia periferica di San Valeriano, don Gilberto Dudine, parroco dell’unità pastorale, ha avviato in canonica dall’anno scorso una prima accoglienza con 60 volontari provenienti anche da altri comuni. Si entra dalle 19 e si esce la mattina dopo colazione, dentro ci sono gli indirizzi dei corsi di italiano e i numeri utili. Un luogo di incontro di mondi lontani.

“Quest’anno - spiega - grazie a Medici senza frontiere abbiamo predisposto una ventina di posti letto con brandine e coperte. Molti stazionano mesi prima di riuscire a entrare. Noi ci autofinanziamo e usiamo cibi e e abiti donati. I migranti stazionano sul sagrato e nei pressi del dormitorio. Al momento sono pochi, ma i flussi non si fermano mai”. Il campo di calcio e la pista di pattinaggio fuori dalla canonica, una volta affollato ritrovo del quartiere Viola, sono deserti. Ai bambini i genitori vietano di venire da quando ci sono i migranti. È la paura che va combattuta sui territori”.