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di Paolo Lambruschi

Avvenire, 6 agosto 2024

Nella capitale libica rastrellamenti di massa da parte dei miliziani per estorcere con violenze e torture i riscatti alle famiglie. L’altra faccia del blocco delle partenze e dei respingimenti in mare. Profughi eritrei braccati nei quartieri ghetto di Tripoli dalle milizie, come nel terribile 2017. Costretti a vivere in trappola, senza sbocchi verso il Mediterraneo o la Tunisia, chiusi in casa per evitare l’arresto nei rastrellamenti di massa e torturati nei centri di detenzione per estorcere riscatti alle famiglie. Il silenzio calato sulla capitale libica negli ultimi mesi e il calo delle partenze che da questa sponda del Mediterraneo è reputato un successo celano una realtà dimenticata di sofferenze e disumanità destinata a peggiorare, come confermano le testimonianze raccolte in Italia dal gruppo di oppositori del regime Eritrea democratica.

Va sempre ricordato che dal paese del Corno d’Africa si fugge da una dittatura spietata. “La guerra in Tigrai prima - spiega l’attivista Abhram Tesfay -, poi le tensioni in Etiopia e da oltre un anno la guerra civile in Sudan hanno spinto un grande flusso di rifugiati eritrei sulla rotta verso la Libia. Ma dopo aver pagato i trafficanti per uscire dal Sudan sono bloccati da mesi a Tripoli. Chi parte sui barconi rischia infatti di venire ripreso dalla guardia costiera libica e finire in prigione dalla quale si esce solo pagando un riscatto. Anche la Tunisia è chiusa, le guardie sparano sui migranti al confine e chi infine passa in Egitto rischia di finire in cella a tempo indeterminato e poi di venire rimpatriato inEritrea dove lo attende la prigione”.

La presenza a Tripoli di un numero crescente di profughi eritrei, le cui famiglie notoriamente pagano sempre i riscatti, ha scatenato una vera e propria caccia da parte dei miliziani in cerca di guadagni. Secondo le loro testimonianze la libertà dalle galere tripoline costa almeno 2.000 dollari.

L’odissea di Selam Negasi, 27 enne fuggita dalle campagne eritree e dalla leva a vita è una sintesi eloquente. È stata ingannata insieme ad altre compagne di viaggio da un trafficante eritreo, Dejen, che aveva promesso di portarla in Italia per 6.000 dollari passando dal Sudan. Ma a Kufra, prima oasi in Libia, il prezzo del viaggio è lievitato a 7.500 dollari e chi come lei non poteva pagare è stato rinchiuso, torturato e violentato fino al pagamento della somma che l’ha portata a Tripoli.

“Qui - racconta la giovane - ho fatto un’altra raccolta di soldi tra parenti e conoscenti e ho dato 3.000 dollari a Ibrahim, un altro trafficante eritreo, per attraversare il Mediterraneo”. Ma il criminale la porta a Zwara, la spiaggia delle partenze, per rinchiuderla in una casa per tre mesi finché la polizia libica non l’arresta durante una retata e la porta ad Abuselim, centro di detenzione tripolino.

“Eravamo circa 300 eritree - aggiunge -. Le poliziotte erano cattive e razziste, ci trattavano come animali. Mi sono ammalata e quando pensavo di morire finalmente mi hanno ricoverato nell’ospedale del carcere. Ho provato a condividere le mie sofferenze con una poliziotta, ma mi ha detto che mi avrebbe fatto uscire solo pagando 2.000 dollari e mi ha fatto chiamare i parenti. Dopo aver preso il denaro, la poliziotta mi ha fatto uscire di nascosto. Sono andata in città a cercare i miei connazionali che mi hanno accompagnato all’ufficio dell’Unhcr dove non hanno potuto aiutarmi, ma mi hanno registrato. Rischiamo tutti i giorni di essere arrestati nei rastrellamenti continui. Vorrei partire dalla Libia, ma non so come fare”.

Nemmeno Berhe lo sa. Vive in Libia dal 2020 ed è stato imprigionato così tante volte da aver perso il conto.

“Ho speso 25.000 dollari per tornare libero, ma non riesco mai ad attraversare il mare”. Berhe è uno dei sopravvissuti agli orrori delle gang dei trafficanti di organi del Sinai quando la chiusura delle coste della Libia fatta da Gheddafi su richiesta italiana aveva spostato le rotte in Egitto. È stato in Israele dal 2011 al 2018. Dopo è stato espulso dal governo in Ruanda, ma da lì è tornato nel paese nordafricano nel 2019.

“Sono registrato dall’Unchr. L’ultima volta che mi hanno arrestato? Il 30 giugno. Di notte è arrivata la polizia e ho pagato.2.000 euro per non venire arrestato. Vivo nascosto in casa, per la paura non dormo più. Conosco almeno 20 persone impazzite. Tanti hanno la tbc, ma gli ospedali non ci curano”.

Yorsalem vive a Tripoli da tre anni e anche lei ha pagato più di 20.000 dollari poliziotti e trafficanti per restare libera. “L’ultimo rastrellamento è stato a maggio 2024 - ricorda - mi hanno portato ad Abuselim e sono uscita pagando 2.000 dollari”. L’unica speranza per questi disperati sono i corridoi umanitari verso l’Italia o i paesi occidentali, ma i posti sono pochi. In Turchia, intanto, paese che in Tripolitania ha un peso sempre crescente. 200 detenuti eritrei in cella da 11 mesi ad Aydin per immigrazione illegale hanno scritto una lettera ai connazionali in cui denunciano il rischio di venire deportati nell’Eritrea dalla quale sono fuggiti. Una violazione palese dei diritti umani, ma nessuno nella Ue così solerte verso diritti delle minoranze osa dire nulla a Erdogan e al suo sodale di Asmara Isayas Afewerki.