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di Laura Berlinghieri

La Stampa, 20 luglio 2023

Tre tende allestite dall’Esercito all’esterno del centro di accoglienza. In un piazzale verde, sotto il caldo torrido che da giorni brucia il Veneto. Da una settimana, una ventina di richiedenti asilo vive lì dentro. Perché i posti nella vicina struttura deputata a ospitare i profughi - l’ex palazzina Nato, a Verona, nella zona delle Torricelle - sono tutti esauriti. E così, venerdì l’Esercito ha dovuto montare le tre tende, rispolverando un’immagine che sembrava relegata alla storia. È l’esempio plastico dell’emergenza migranti in Italia e in Veneto, dove nelle prossime settimane sono attesi quattromila profughi.

Ma nella Regione amministrata da Luca Zaia la temperatura è particolarmente calda. La situazione è deflagrata l’11 luglio, quando Zaia presentava il nuovo protocollo regionale di “accoglienza diffusa” dei migranti, e contemporaneamente il prefetto di Vicenza Salvatore Caccamo “abbandonava” venti richiedenti asilo tra le strade di sei Comuni della provincia, per comunicare nella maniera più dura e drastica che il sistema era saltato. “Scaricati come pacchi davanti ai municipi” la protesta unanime degli amministratori vicentini. E allora, martedì Paolo Lanaro, sindaco di Cornedo, uno dei sei Comuni che erano stati individuati da Caccamo, ha riportato in prefettura i tre profughi che gli erano stati consegnati. Prelevati con un pullmino e riportati indietro. Tra loro c’era anche un tunisino di 15 anni, poi ricollocato in una comunità protetta. Mentre gli altri due, tra cui il fratello maggiore del ragazzo, sono stati riportati a Cornedo: alla fine, li ha ospitati il parroco. Il sindaco continua a dire: “Non ho spazio per loro”.

Il prefetto di Vicenza è stato anche richiamato dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Ma la situazione non è cambiata, perché in Veneto il sistema è saltato. Quella di Cornedo è solo una storia, tra le tante che si sommano in questi giorni. E se ne aggiungeranno ancora, immaginando l’impatto dei nuovi arrivi. Per questo, la settimana scorsa, a Verona sono spuntate le tre tende. Proprio come era successo a Pelago, nel verde della provincia di Firenze. Secondo la questura, dal 1° aprile a oggi nella provincia scaligera sono arrivati 117 profughi, tanti almeno sono stati censiti dall’ufficio immigrazione.

Ma è un dato certamente al ribasso. I migranti ospitati alle Torricelle, il quartiere che sovrasta il centro storico, sono arrivati lì da Marghera, e a Marghera erano arrivati dopo gli sbarchi sulle coste della Sicilia. La sistemazione nelle tre tende è “provvisoria” assicura il prefetto Donato Cafagna, “una prima tenda è già stata rimossa e gli altri venti immigrati saranno tutti trasferiti entro lunedì in una struttura già individuata in provincia, non appena questa sarà disponibile”. Intanto rimangono lì dentro, a un passo dal centro di accoglienza ormai saturo. È gestito da anni dalla cooperativa Milonga, ha esaurito tutti i posti a disposizione. “Gli ospiti accolti nelle tende possono usufruire degli spazi e dei servizi comuni presenti all’interno della struttura” assicura ancora il prefetto, “e le tende sono dotate di impianti di raffrescamento dell’aria”.

Non è così a Oderzo. Sempre Veneto, provincia di Treviso. Qui la “tendopoli” esiste dal 2016. Avrebbe dovuto essere smantellata nel 2018, con Matteo Salvini ministro dell’Interno. Sono passati cinque anni, ma la tendopoli è sempre lì. Oggi ospita 260 migranti, il massimo consentito, ma in passato era arrivata ad accoglierne anche più di 500. Anche loro arrivano dall’Africa: il giorno lavorano tra i campi e le fabbriche della provincia, la sera tornano nel centro, con coprifuoco alle 20. In queste notti di aria irrespirabile, raccolgono le lenzuola e si gettano sull’asfalto: in tanti dormono lì, per terra, fuori dalle grosse tende. A poca distanza da qui, tra Treviso e il piccolo Comune di Casier, c’è poi il più grande centro di accoglienza del Veneto: l’ex caserma Serena. Anche questa aperta nel 2016, è gestita dalla società Nova Facility e ospita circa 450 profughi.

Sei bagni per gli uomini, sei bagni per le donne e camerate da otto persone, che però arrivano a ospitarne fino a dodici. Ma è il racconto di chi vive lì dentro, perché la struttura è impermeabile all’esterno e raccontarla non è possibile, se non affidandosi alle parole di chi ci abita. Tornando a Oderzo, quando la tendopoli fu aperta, nel 2016, in 300 scesero in piazza, per una fiaccolata contro il centro. Da un lato i residenti, dall’altro i migranti: lo stesso copione a Cona (Venezia) e a Bagnoli di Sopra (Padova), le cittadine venete dove all’epoca furono allestiti due tra i principali hub della Regione. A Oderzo, a guidare il corteo contro la struttura c’era Luca Zaia, presidente allora e presidente adesso. Ora predica “l’accoglienza diffusa” dei migranti, andando contro la schiera dei sindaci della Lega che nel 2016 alzò le barricate contro i migranti, ed è pronta a farlo ancora. Alberto Stefani, neosegretario veneto della Lega, deputato e sindaco di Borgoricco (Padova), è chiaro nel dire: “No all’accoglienza indiscriminata dei richiedenti asilo nei Comuni”. Ed è una linea condivisa dalla maggior parte dei colleghi amministratori. Intanto i migranti di Verona restano nelle tende, in attesa di scoprire dove li porterà il loro prossimo viaggio.