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di Matteo Pucciarelli

La Repubblica, 7 settembre 2023

Intervista all’ex leader dei Disobbedienti: “Qualcuno parla di conversione ma io sono quello di prima. Papa Francesco per me è un padre”. Le tute bianche e gli insegnamenti di Toni Negri, le drammatiche giornate di Genova e il Chiapas zapatista, la disobbedienza e i centri social del nord-est. Parli di Luca Casarini e ti viene in mente tutto questo: una stagione, un immaginario e una pratica di lotta che ha poi formato leader della sinistra radicale come Pablo Iglesias e Alexis Tsipras.

Oggi il fondatore di Mediterranea Saving Humans, 56 anni, ha trovato una nuova strada: “Il cristianesimo, che si oppone alla religione pagana del capitalismo”. Coltiva un rapporto diretto ed epistolare con papa Francesco, che lo ha nominato componente del Sinodo di ottobre, “ma mi considero l’ultimo tra gli ultimi”, dice. Stamani festa di Mediterranea a Roma, ad aprire la kermesse, ci sarà don Matteo Zuppi. Ma per spiegare tutta la storia tocca fare un passo indietro.

Lei non vive più in Veneto, ma a Palermo. Com’è andata?

“Sì, sono in Sicilia da 12 anni. La mamma dei miei figli è palermitana, lei è tornata alla sua università, l’abbiamo seguita”.

Come nasce l’esperienza di Mediterranea?

“La fondammo in gran segreto nel 2018, come una cospirazione del bene, parola che nei testi teologici significa “azione dello spirito”. Era l’anno dei porti chiusi di Matteo Salvini ministro degli Interni e con il nostro passato ci avrebbero fermato subito. Seppero di noi la notte fra il 3 e 4 ottobre, eravamo già in acque internazionali e lì dichiarammo le nostre reali intenzioni, cioè riaprire la strada del soccorso civile in mare”.

Chi c’era e chi c’è in Mediterranea?

“Uomini e donne di buona volontà, ci dicemmo: mettiamoci insieme per fare qualcosa. Magari senza saperlo lo facemmo applicando una norma evangelica, non chiediamo da dove si viene ma dove vogliamo andare insieme. Banca Etica ci fece un prestito, alcuni parlamentari di Pd e Sinistra Italiana, ma anche 5 Stelle, ci aiutarono e in alcuni casi ci fecero da garanti”.

Eccoci quindi al punto: la Chiesa, il Papa, cosa c’entra?

“Quando partimmo coinvolgemmo come cappellano di bordo don Mattia Ferrari, un prete della provincia di Mantova, il contatto con Francesco è lui. Siamo laici, ma da subito abbiamo introdotto nel nostro agire la problematica spirituale, convinti che le grandi sfide del mondo si vincono non solo con la materialità della lotta, ma anche con spiritualità, cuore e trascendenza. Considerare fratelli e sorelle le persone che cerchiamo di salvare non è un aggettivo per risultare simpatici, ma anche la motivazione per violare leggi ingiuste. Ci concentriamo molto sul fraternitè e non solo su libertè ed egalitè”.

La religiosità la scopre allora?

“Sai, quando sei in mare, in quel punto tra vita e morte, abbracci una persona e la salvi, senti che ti sta succedendo qualcosa dentro. Un giorno, siamo fermi a Marsala per una sosta tecnica, mi squilla il telefono ed era l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice: “Mi piacerebbe conoscerti”. Poi ci vediamo, senza formalità né senso della gerarchia mi abbraccia, mi fa raccontare e poi mi dice: “Ti conosco dalla marcia zapatista: cosa ti muove nella vita, perché lo fai?”. Questa domanda è la vera domanda”.

Che risposte si è dato?

“Con la politica ero davvero in crisi, non riuscivo a capire per cosa mi dovevo muovere. Il tema del soccorso in mare e in terra, così osteggiato e criminalizzato da tutti i governi, non solo quello di destra, dà concretezza e testimonianza in ciò in cui credi. Non c’è neanche un raziocinio, non c’è la possibilità di spiegarlo, comunque lo faccio perché considero davvero le altre persone che soffrono dei miei fratelli e sorelle, e l’enciclica di Francesco si chiamava proprio “Fratelli tutti”“.

E il rapporto con il Papa?

“Più volte ha voluto incontrare l’equipaggio, gli ho anche portato delle persone torturate nei lager libici. Francesco mi ha accolto come un figlio. Lui è una persona straordinaria, un grande dono per me. È una guida, un padre, un fratello, un amico. Lo ascolto e cresco dentro, ogni volta”.

Così è diventato cattocomunista...

“No, mi definisco un cristiano. Nel senso del Gesù messo in croce dal potere di allora, colui che diceva che gli uomini sono tutti uguali, che gli ultimi saranno i primi”.

Ma i suoi vecchi compagni di lotta la stanno capendo?

“Alcuni parlano di conversione, non mi offende ma non è così. Ho scoperto di persone più vecchie che hanno fatto lotte e militanze simili alla mia che vivono una comunanza di riflessioni e poi io nella mia vita un prete l’ho sempre avuto accanto: Genova voleva dire don Gallo e don Cassano di Bari, le piazze contro la guerra in Iraq don Vitaliano della Sala, decine di preti e suore conosciuti in Chiapas: quella era una chiesa osteggiata dai vertici di allora, ma non l’ho mai rifiutata. Vengo da una famiglia cristiana, da una educazione cattolica, per me il rapporto con questa Chiesa è un ricongiungermi ad un percorso sulla base di un’esperienza molto forte. E poi si fanno incontri incredibili: giorni fa ero ospite dei gesuiti, e uno di loro mi dice: “sai che prima ero in Insurgencia?” (un famoso centro sociale napoletano, ndr)”.

Con qualcuno ha litigato rispetto a questa sua svolta?

“Ci si confronta. Tempo fa parlavo con i 99 Posse, figurarsi le battute tra noi. C’è quel testo di un loro pezzo che parla di odio mosso d’amore. Io l’odio l’ho provato per tanto tempo nei confronti di politici e avversari; adesso sono riuscito a capirne il senso di quella strofa, vuol dire che devi cercare cosa c’è sotto quell’odio per dare spazio all’amore”.

Quindi lei vede una coerenza di fondo tra il Casarini di ieri e quello di oggi.

“Vedo la stessa inquietudine: non è possibile restare a guardare uno che muore in mare e un altro che ha successo elettorale grazie a questo. Mi chiedo se questo sia l’unico mondo possibile. Non vivo certo uno stato di grazia. Comunque non credo che sarò capito mai del tutto ma non è questo l’obiettivo, il dato è come uno vive, questa è la militanza, come si vive ciò in cui si crede. E mi piace parlarne con i compagni e le compagne che ne hanno voglia”.

Il marxismo per lei rimane una bussola?

“Mi sono convinto che pensare di risolvere il problema delle relazioni tra umani solo dentro una dimensione economica e materialista non sia possibile, non abbiamo approfondito il fraternitè, e se non lo capiamo come facciamo a essere diversi dal modello capitalista? La potenza rivoluzionaria è nella forma di vita collettiva e la si è persa totalmente nel marxismo, mentre nella ecclesia è rimasta. Sentiamo la sofferenza dell’altro? Questa domanda non la risolvi con la tecnica, invece lo fai guardando verso l’alto, cioè ponendoti il senso della vita, del creato. Lottare ma essendo sicuri di non essere prodotti di questo mondo è fondamentale, per questo la spiritualità è un concetto rivoluzionario. Devo dirle che l’esperienza terrena del collettivo non mi ha mai dato grandi soddisfazioni, ho sperimentato i centri sociali e le cooperative: la base terrena non basta, l’idea di una terra promessa è fondamentale nel tenere assieme le cose”.

Rinnega qualcosa del passato?

“Nulla, perché nel cammino della vita si incontrano cose belle e cose brutte, si commettono errori. Ma tutto serve, per imparare a rialzarsi e per continuare a cercare, per dare un senso all’inquietudine che non ci fa mai stare fermi. Ho sempre cercato di stare dalla parte dei poveri, degli ultimi. Sono figlio di due operai, e i loro sacrifici per farmi crescere sono stati il primo insegnamento”.

Ma va spesso a messa?

“Sono poco liturgico, l’ultima è stata una settimana fa sulla “mare Jonio” con don Mattia. Sento molto il concetto dello spezzare il pane, cioè condividere un’esperienza di vita, una cospirazione. Quando una messa diventa rito mondano si svuota”.

Lei sull’Ucraina aveva una posizione precisa, a favore dell’invio di armi, in appoggio di quella Resistenza: ha un po’ cambiato idea adesso, pensando anche al lavoro di Francesco e don Zuppi per la pace?

“Seguo il Papa. Bisogna affermare il valore della pace non quello delle armi. Noi siamo in un mondo in cui riusciamo a parlare di dignità e di giustizia solo attraverso l’uso delle armi e della guerra. Dobbiamo trovare un’altra strada. E questa è una forma di resistenza disarmata molto più difficile. Per questo odio i tiranni e le violenze contro i popoli, ma seguo Papa Francesco e Zuppi nei loro sforzi per immaginare la pace. E mentre lo dico gli attivisti di Mediterranea sono in Ucraina, a fianco dei civili che soffrono”.

Ma se in futuro dovesse arrivare un Papa conservatore, per lei non cambierebbe tutto?

“No, il cammino non cambia. E del resto chi vuole cambiare il mondo non ha mai avuto vita facile né un posto in Parlamento”.

Comunque, provando a sintetizzare al massimo il suo ragionamento: non c’è lotta senza un po’ di trascendenza.

“Se perdiamo l’elemento spirituale e trascendentale in quello che facciamo finiamo presto o tardi per affidarci ad un altro tipo di religione, ed è quella del capitalismo, cioè del denaro, del successo, dell’individualismo. Una religione pagana, fatta per chi crede che i frutti devono essere concreti e subito, dove il regno è quello della terra e ci sono alcuni che sono vicini a considerarsi dio, e sono ricchi, potenti, creatori dell’intelligenza artificiale. A questa contrappongo l’idea rivoluzionaria di Gesù, caratterizzata dall’eresia e dall’aspetto comunitario e comunistico del vivere. Mario Tronti, che con il suo Operai e Capitale è stato fondamentale nella mia formazione, sulla necessità della spiritualità diceva: “In fondo il materialismo è una cosa da borghesi”. Sono proprio d’accordo”.