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di Simonetta Gola*

La Stampa, 16 febbraio 2023

Ieri, alle ore 14, la Camera ha votato a favore della conversione in legge del decreto sulla gestione dei flussi migratori. Qualche ora prima, un tweet dell’Organizzazione mondiale delle migrazioni riportava che sarebbero 73 i dispersi di una barca partita da Qasr Alkayar e di cui si sono perse le tracce. Sono 11 finora i cadaveri recuperati sulle coste della Libia. Non sappiamo se avrebbero potuto essere soccorse da una nave della flotta civile, ma sappiamo che non ne hanno neanche avuto la possibilità.

La politica applicata dal Governo Meloni per mano del ministro dell’Interno Piantedosi - non solo con il decreto del 2 gennaio - ha svuotato il mare dalle navi umanitarie, riducendo drasticamente per chi attraversa il Mediterraneo la probabilità e la speranza di arrivare vivo in Europa. Esigere l’immediata rotta verso il porto assegnato si traduce in navi che devono tornare in Italia con un decimo dei naufraghi rispetto a quanto ne potrebbero soccorrere, come è successo con la Geo Barents. Assegnare porti che richiedono 900 miglia di viaggio equivale a giorni di assenza - tre? Quattro? - da uno dei luoghi più caldi del pianeta, com’è successo per la Ocean Viking. Di quante vite che potrebbero essere salvate e non lo saranno stiamo parlando? Sono numeri facili da stimare, e sarà indispensabile farlo nei prossimi mesi, anche se non è mai solo una questione di numeri quando si parla di persone.

A guardarli dalla Life Support di Emergency, unica nave presente oggi nell’area Sar libica, gli effetti appaiono con chiarezza brutale: da giorni gli strumenti di monitoraggio del traffico navale tipo Vessel Finder non tracciano i movimenti in questa area del Mediterraneo, in cielo volano droni in pattugliamento, una motovedetta della guardia costiera libica - sempre la stessa - ci si materializza intorno appena cambiamo rotta o velocità. Siamo diventati noi il centro dell’attenzione, mentre dovrebbe esserlo la sorte dei disperati che sognano l’Europa dei diritti dalle coste di Zuwarah o Zawiyah.

In questi giorni manca anche il monitoraggio aereo civile - non quello di Frontex - e Alarm Phone non sta comunicando la presenza di barche in “distress”. Sono rimasti tutti bloccati sulle coste, nonostante le buone condizioni del mare? Vengono intercettati prima? Vediamo relitti di barche bruciate e diversi segnali di fumo in lontananza, ma non sappiamo se siano i resti delle barche intercettate dai libici, che solitamente danno fuoco alla barca dopo aver recuperato le persone a bordo. Ci limitiamo a mettere in fila i fatti. Dalla visita recente della presidente Meloni n Libia qualcosa in queste acque è cambiato. La questione però rimane sempre la stessa: oltre 20 mila persone sono morte su questa frontiera dal 2014, dopo la cancellazione di Mare Nostrum; nell’ultimo anno sono state 1.385. Oltre 100 quest’anno. Almeno quelle note.

Serve allora facilitare i soccorsi, invece che impedirli. Serve che l’Europa coordini una missione di soccorso per fermare l’espandersi di questo cimitero, non intimidire o vessare la società civile che si è assunta la responsabilità di colmare questo vuoto ingiustificabile con sforzi enormi.

Il controllo dell’immigrazione non può avvenire lasciando morire chi attraversa questo mare in cerca di una vita decente o esternalizzandolo a un Paese in guerra e allo sbando. Sono ormai decine i report delle organizzazioni internazionali che denunciano maltrattamenti e abusi compiuti dai miliziani libici. Eppure adesso sappiamo che si può aver letto Primo Levi o celebrare la giornata della Memoria, anche con sincera commozione, e votare in Parlamento - compattamente e trasversalmente - per il rinnovo degli accordi con la Guardia Costiera libica. Bisognerebbe guardare anche solo una volta le facce di chi racconta i giorni passati nelle sue carceri per capirne la gravità. Le migrazioni sono un fenomeno strutturale al nostro tempo: o le gestiamo con decenza, o interveniamo sulle cause alla loro origine, essendo pronti a scoprire quanto hanno a che fare con lo stile di vita del nostro Occidente. O continuiamo a ignorare i morti.

*Direttrice comunicazione Emergency