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di Fabio Amendolara

La Verità, 29 agosto 2024

Il giudice Apostolico ha fatto scuola. Da quando è in vigore il decreto Cutro che accelera i rimpatri, sono state respinte 26 richieste su 28. E i ricorsi contro la mancata protezione ora sono quasi sempre accolti. Con gli ultimi provvedimenti giudiziari della Sezione immigrazione del Tribunale di Palermo salgono a 26 le richieste di trattenimento per immigrati (quasi tutti inizialmente diventati irreperibili, poi rintracciati, hanno presentato richiesta di protezione che è stata respinta, tranne uno che è stato arrestato) annullate da quando è in vigore il Decreto Cutro. Due soli gli accoglimenti, uno dei quali, peraltro, da un altro giudice della stessa Sezione palermitana e con le stesse caratteristiche di quelli rigettati. Un cortocircuito giudiziario. Che appare particolarmente orientato ideologicamente.

E a provarlo non è solo lo sbarramento delle toghe nelle procedure accelerate alla frontiera. C’è un altro dato, che La Verità ha raccolto compulsando le Commissioni territoriali che si occupano della protezione internazionale dei migranti: dal 2015 a oggi le toghe hanno cambiato rotta. Se nel 2015 solo il 49% dei ricorsi presentati dai migranti contro il diniego della protezione (6.774) venne accolto, da quando è in sella il governo di Giorgia Mel o ni le percentuali sono schizzate: nel 2022 è stato accolto l’86% dei ricorsi (10.699) e nel 2024, con i dati fermi al mese di luglio, gli 8.776 ricorsi accolti formano già il 72%. Negli anni precedenti le percentuali si erano attestate sempre tra il 42 e il 45%, eccetto nel 2019, anno in cui il dato era sceso al 35%.

Sarà una coincidenza, ma le toghe sembrano aver comunicato da che parte stanno. E Iolanda Apostolico, la giudice catanese che ai tempi di Matteo Salvini al ministero dell’interno manifestava in piazza contro le politiche del governo, che detiene il record degli annullamenti in tema di procedure accelerate di frontiera, non è sola. A Catania ha contribuito a far salire la media il collega Rosario Cupri. E anche quando l’avvocatura dello Stato ha impugnato dieci provvedimenti contrari in Cassazione e il procuratore generale Renato

Finocchi Ghersi aveva specificato che i trattenimenti erano “legittimi e conformi alla legge” la storia non è cambiata. Ai giudici non va giù che gli immigrati senza documenti e non diposti a pagare una fidejussione, come previsto dalla legge, debbano essere accompagnati alla frontiera per l’espulsione. Sulla “garanzia finanziaria”, invece, il procuratore generale ha ritenuto necessario un intervento della Corte di giustizia europea.

Nell’attesa le toghe continuano a seguire l’orientamento Apostolico. E infatti, questa volta a Palermo, il giudice Sara Marino ha ritenuto inapplicabile il Decreto Cutro perché “la mancata consegna del passaporto o la mancata prestazione della garanzia rappresentano dei presupposti che legittimano l’adozione della misura, ma non sono da soli sufficienti a giustificarla”. Il giudice ammette anche che esiste un obbligo di tenere conto di altre misure alternative al trattenimento, ma sembra lavarsene le mani: “È un dovere che va esercitato dall’autorità amministrativa”. Nonostante il legislatore abbia escluso che questo strumento venga applicato in fase di richiesta di protezione internazionale. In sostanza, stando all’interpretazione del giudice palermitano, la procedura accelerata di frontiera sarebbe applicabile “soltanto nelle circostanze eccezionali, in base ai principi di necessità e proporzionalità, come ultima risorsa, sulla base di una valutazione caso per caso e sempre che non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive”. La consegna del passaporto, secondo Marino, “più che una misura disposta sulla base di una valutazione caso per caso in alternativa al trattenimento è piuttosto configurata dal legislatore nazionale come una causa generale di esclusione (nel senso che se si consegna il passaporto non si può in nessun caso disporre il trattenimento). Si tratta di una eventualità di difficilissima realizzazione, essendone i richiedenti asilo quasi sempre privi”. Non tutti i richiedenti asilo privi di passaporto, però, vengono avviati alle procedure accelerate di frontiera dai questori. In Tribunale arrivano solo quelli, appunto, esaminati caso per caso e che non presentano la possibilità di applicare misure alternative. Le ordinanze, però, anche sulla legittimità e applicabilità dei provvedimenti, riconosciuta dal procuratore generale della Corte di Cassazione, cercano di contrastare il Decreto Cutro. Le sciabolate non sono poche: si legge di “rischio di disporre trattenimenti sine titulo”, che occorrerebbe “verificare la possibilità di dare un’interpretazione alla normativa nazionale” e di “facoltà di rappresentare l’esercizio di un potere discrezionale”. Insomma, quanto basta per dimostrare di aver storto il naso davanti al Decreto Cutro.

L’altra toga palermitana, Eleonora Bruno, è stata anche più tranchant, bollando il provvedimento del questore come “non adeguatamente motivato” e ha valutato come preminente “il contegno tenuto dal richiedente al momento in cui è stato fermato”. A leggere il Decreto Cutro, però, non ci sono accenni all’atteggiamento dello straniero. Si parla invece di chi ha tentato di eludere i controlli. In uno dei casi esaminati da Marino si trattava di un tunisino che era stato avvistato, da solo, in mare da una imbarcazione privata mentre stava cercando di raggiungere la riva e successivamente recuperato da un assetto navale della Guardia di finanza. Non ha consegnato passaporto né intendeva prestare garanzie finanziarie per assicurare la sua reperibilità. Un caso molto simile a quello presente nell’unico provvedimento di Palermo accolto, nel quale il giudice Michele Guarnotta sottolinea proprio che l’immigrato era sbarcato in modo autonomo e aveva tentato di lasciare l’isola di Lampedusa. Due casi molto simili letti in modo diametralmente opposto dai giudici della stessa Sezione dello stesso Tribunale. Ora è scattato il conto alla rovescia dei 60 giorni per impugnare i provvedimenti davanti ai giudici della Corte di Cassazione (che andranno a sommarsi agli altri dieci già pendenti e non ancora trattati). La palla torna così nella metà del campo dell’avvocatura dello Stato.