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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 17 febbraio 2024

Il suicidio di Ousmane Sylla, un giovane gambiano di soli 21 anni, avvenuto il 4 febbraio scorso nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria a Roma, ha evidenziato le criticità e le ingiustizie del sistema di detenzione amministrativa per i migranti. Giunto in Italia con la speranza di una nuova vita, Ousmane ha invece trovato solo dolore e disperazione. Soumaila Diawara, scrittore e attivista politico maliano rifugiato in Italia, ha sottolineato che il giovane non soffriva di disturbi mentali, ma è stato spinto al gesto estremo dalle leggi propagandistiche del governo italiano, che hanno prolungato i tempi di detenzione nei Cpr fino a 18 mesi.

Una politica che ha visto aumentare vertiginosamente il numero di suicidi e che è stata definita sbagliata da molte voci critiche. La morte del gambiano, ricordiamo, ha scatenato una rivolta all’interno del Cpr di Ponte Galeria, con decine di migranti che hanno protestato contro le condizioni disumane di vita e le lunghe detenzioni. Questo episodio non è isolato: altri centri come quello di Gradisca e Milo hanno registrato situazioni simili di ribellione e disperazione. Ma se da una parte ci sono le proteste, dall’altra non manca l’attivismo delle associazioni come la Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (Simm), la ‘ Rete Mai più lager - No ai CPR’ e l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi) che da circa un mese stanno lanciando una campagna per sensibilizzare il personale sanitario sui rischi per la salute dei migranti detenuti nei Cpr.

La campagna è rivolta a tutti i medici del Servizio Sanitario Nazionale chiamati a valutare l’idoneità alla vita in comunità ristretta delle persone migranti destinate ai Cpr. Le associazioni denunciano innanzitutto che quest’ultimi sono luoghi di detenzione amministrativa gestiti da enti privati con finalità di lucro. Numerosi report e inchieste hanno evidenziato le condizioni degradate e degradanti dei Cpr in termini igienico- sanitari e dello stato di salute fisica e mentale delle persone migranti detenute. La valutazione dell’idoneità alla vita in comunità ristretta è una procedura richiesta ai medici del Servizio sanitario nazionale prima dell’invio di una persona migrante in un Cpr.

Nonostante sia stata proposta come misura di tutela per le persone migranti con problematiche di salute e/ o psicosociali nell’ingresso in luoghi complessi come i Cpr, negli anni tale strumento si è concretizzato spesso come mero nulla osta, escludendo rischi di malattie infettive senza una reale valutazione dello stato di salute globale della persona presa in esame. La campagna di sensibilizzazione dei medici sulla valutazione dell’idoneità alla vita in comunità ristretta nei Cpr si basa su diversi fronti. Dal punto di vista della sanità pubblica, rappresentano un rischio per la salute delle persone migranti, in particolare per la salute mentale, la diffusione di malattie infettive e la mancata presa in carico di patologie croniche. Dal punto di vista deontologico, la valutazione dell’idoneità nei Centri solleva problemi di consenso informato, valutazione tempestiva e completa dello stato di salute e protezione del soggetto vulnerabile. Dal punto di vista medico- legale, la valutazione potrebbe essere contestata in sede giudiziaria in caso di insorgenza di problematiche di salute della persona migrante.

Per queste ragioni, la Simm, la ‘ Rete Mai più lager No ai CPR’ e l’Asgi invitano tutti i medici del Servizio Sanitario Nazionale a valutare l’inidoneità alla vita in comunità ristretta per le persone migranti destinate ai centri di permanenza per il rimpatrio. Per supportare i medici nella valutazione dell’inidoneità, la campagna ha reso disponibile un modulo che sintetizza le motivazioni di sanità pubblica, deontologia medica e medico- legali per la valutazione oggettiva dell’inidoneità alla vita nei Cpr. Il modulo, articolato in quattro parti, è accessibile sul sito web delle tre organizzazioni promotrici della campagna. Nella prima parte, il medico certificatore deve indicare le proprie generalità e l’ente del Ssn per cui lavora. Nella seconda parte, deve descrivere le modalità con cui ha effettuato la valutazione clinica, tenendo conto di criticità come l’incompletezza dell’esito delle verifiche, dovuta all’indisponibilità di una documentata anamnesi e al ridotto tempo concesso per l’approfondimento clinico. La terza parte richiede al medico di indicare le motivazioni che lo hanno portato a valutare la persona migrante come non idonea alla vita nel Cpr, mentre nella quarta parte deve firmare e datare il modulo. La valutazione di non idoneità deve essere effettuata in scienza e coscienza, basandosi su evidenze cliniche e criticità legate alla struttura e all’organizzazione delle strutture detentive. La valutazione deve essere motivata e documentata nel modulo.

La diffusione di questo modulo rappresenta quindi un passo significativo per la tutela della salute delle persone migranti detenute. La morte di Ousmane Sylla e le proteste nei Cpr mettono in luce un problema più ampio: la necessità di una revisione profonda del sistema. Numerose voci, tra cui sindacati, e organizzazioni della società civile, chiedono la chiusura dei centri per il rimpatrio. È possibile una alternativa ai Cpr? La risposta è sì. Progetto Diritti, in collaborazione con la Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti Civili (Cild), ha implementato con successo l’approccio olistico del case management per la presa in carico delle persone straniere prive di regolare permesso di soggiorno. Questo approccio mira a individuare le vulnerabilità e le criticità di ogni individuo, approfondendo la loro storia migratoria e il loro vissuto. Le azioni intraprese finora hanno permesso di prendere in carico 138 persone, di cui 66 hanno già ottenuto un titolo di soggiorno e altre stanno procedendo verso la regolarizzazione. Questo modello si basa su una visione inclusiva e rispettosa dei diritti umani, che riconosce la dignità e il valore di ogni individuo. Si distingue nettamente dall’approccio repressivo dei centri di rimpatrio, che si sono dimostrati inefficaci, costosi e dannosi. Nonostante ciò, il governo attuale ha annunciato l’intenzione di investire ulteriori 40 milioni di euro per ampliare il sistema di detenzione amministrativa e ha allungato i giorni di detenzione, perpetuando così un approccio emergenziale e punitivo anziché esplorare alternative più umane e sostenibili.

Eppure, nel 2022 è stata pubblicata una breve ricerca che descrive esempi di alternative non coercitive a livello internazionale ed europeo, evidenziando casi positivi di applicazione del case management in percorsi di regolarizzazione in Italia. Un documento che mira a diffondere conoscenza su approcci alternativi e a mettere in luce l’irrazionalità della detenzione amministrativa. In un contesto in cui la disumanità e l’ingiustizia dei Cpr sono sempre più evidenti, è urgente un cambio di rotta. È necessario porre fine alla logica punitiva e colpevolizzante che permea il sistema attuale, e lavorare verso un modello di accoglienza che metta al centro la dignità e i diritti delle persone. Solo così potremo evitare altre tragedie e condanne da parte della Corte Europea di Strasburgo.