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di Luigi Ferrarella

Corriere della Sera, 30 dicembre 2022

La tendenza a spostare sul piano amministrativo le sanzioni le sottrae al controllo del magistrato. Fuga dalla giurisdizione, vissuta con insofferenza alla stregua di una zavorra di lacci e lacciuoli da aggirare, se non addirittura percepita pregiudizialmente ostile ai programmi governativi: è la tendenza evidente nel decreto legge sulle Ong, con il quale il governo Meloni sposta dal terreno penale a quello amministrativo le sanzioni per le navi che soccorrano naufraghi con modalità diverse dalle regole poste dal ministro dell’Interno Piantedosi. Ma è una tendenza che, pur nella diversità degli ambiti, permea ad esempio anche la riproposizione delle norme che sterilizzano i rischi penali per gli amministratori di aziende di “interesse strategico nazionale” come Ilva; o nella legge di bilancio la transazione agevolata delle controversie tributarie con l’Agenzia delle Entrate pendenti in Cassazione; o, negli auspici del Guardasigilli, la preferenza teorica accordata alle intercettazioni preventive rispetto a quelle giudiziarie.

È una deriva certo non iniziata con questo governo: ma mentre precedenti esecutivi, vergognandosene, la ammantavano di discutibili motivazioni utilitaristiche (all’insegna di una sorta di “non c’è abbastanza giustizia per tutti e dunque come l’acqua va razionata”), questa maggioranza ne rende palese la cornice finalistica ideologica in particolare in tre conseguenze del decreto legge sulle Ong, la cui bozza mette in mano al prefetto una progressione di sanzioni pecuniarie (a seconda dei casi da 2 mila a 10 mila oppure da 10 mila a 50 mila euro), di fermi amministrativi delle navi da venti giorni a due mesi, e persino di loro confisca in caso di recidiva.

Come prima conseguenza, l’autorità amministrativa che infligge queste sanzioni (prima di qualunque vaglio giurisdizionale anche solo cautelare) non ha le garanzie di indipendenza dei magistrati, perché è chiaro che il prefetto di turno fa quello che vuole il ministro dell’Interno da cui dipende gerarchicamente.

La seconda conseguenza è la mancanza di tassatività (rispetto alla norma penale) del precetto di condotta asseritamente violato, e quindi la gassosità degli indici di inosservanza che l’autorità amministrativa ritenga di punire: sanzioni per navi che “non forniscano una ricostruzione dettagliata” dei soccorsi, o non abbiano “idonei requisiti tecnici-nautici”, o non si dirigano “tempestivamente” verso il porto (assegnato anche molto lontano) senza indugiare a salvare magari altri naufraghi, nel penale non potrebbero mai esistere, per quanto sono vaghe e per quanto dunque diventa discrezionale l’applicazione contingente da parte del prefetto.

La terza è l’inversione della tempistica delle sanzioni. Poiché il vero obiettivo (bloccare le navi) non è stato raggiunto in passato quando la cassetta degli attrezzi era quella penale, applicata da magistrati che in conformità al diritto internazionale finivano quasi sempre per concludere le proprie istruttorie in termini favorevoli ai soccorritori marittimi, ecco che allora si fa invece decidere ai prefetti una sanzione subito eseguibile, contro la quale saranno le Ong a doversi attivare per contestarne la legittimità al Tribunale amministrativo regionale, ma con a loro carico sia i non brevi tempi sia i costi, visto che in attesa dell’esito del ricorso le norme accollano all’armatore le spese di mantenimento della nave sotto fermo.

Può darsi che la pur minima rimodulazione delle sanzioni sia sufficiente a dribblare quella parte di preoccupazioni esposte dal Presidente della Repubblica l’8 agosto 2019, quando accompagnò la conversione del decreto Salvini-bis (che “chiudeva i porti” a pena di confisca della nave e di multe da 150 mila a 1 milione di euro) con il biasimo della mancanza di qualunque criterio distinguesse “tipologia delle navi, condotta concretamente posta in essere, ragioni della presenza di persone a bordo”. Ma resta il dubbio se appaia “ragionevole, ai fini della sicurezza dei cittadini e della certezza del diritto, affidare alla discrezionalità di un atto amministrativo la valutazione di un comportamento che conduce a sanzioni di tale gravità”.